Opinioni

Senza rete. Il talento di Sinner e la libertà di scegliere

Mauro Berruto lunedì 29 gennaio 2024

Del successo straordinario di Jannik Sinner si è già detto tutto, o quasi. Si è detto della bellezza di un’impresa che arriva così presto (a 22 anni, età che dal punto di vista tennistico permette di immaginare una favolosa traiettoria di dieci, forse quindici anni di livello assoluto), che arriva nel modo in cui è arrivato, ovvero dopo un’enorme difficoltà da superare (quei primi due set che sembravano indirizzare la gara in tutt’altra direzione), si è detto di un ragazzo fortissimo tecnicamente e mentalmente e capace di essere esemplare anche, anzi soprattutto, fuori dal campo. Si è detto anche di un talento multidisciplinare che forse sarebbe diventato fortissimo anche nello sci. Insomma, si è scritto e parlato così tanto di Sinner che è difficile trovare un ulteriore punto di vista. Ci provo, estraendo i due passaggi fondamentali del discorso, pronunciato a caldo, pochi minuti dopo la vittoria del primo slam della sua carriera.
Al netto delle cose che è tradizionalmente normale dire in quei momenti, Jannik Sinner ha mandato a milioni di italiani che domenica mattina lo hanno guardato giocare (e ai tanti milioni che avrebbero desiderato guardarlo in chiaro) due messaggi. Il primo è contenuto nel ringraziamento non formale a Danil Medvedev: «Complimenti, perché mi rendi un giocatore migliore, non molli mai e mi costringi a colpi sempre più difficili». Il secondo, toccante: «Auguro a tutti di avere dei genitori come i miei, che mi hanno sempre lasciato libero di scegliere». Sono parole che vanno al di là del successo di un prestigioso torneo, ci ricordano la bellezza e la necessità del confronto con i migliori, perché è sempre lì che si trova il proprio margine di miglioramento. Essere felici quando i propri avversari sono difficili da battere è il miglior modo per allenare quella che in tanti chiamano “mentalità vincente”, un concetto spesso banalizzato, ma che ci richiama all’idea di una spinta verso il meglio che passa attraverso la ricerca costante, anzi il desiderio, di quel confronto. Il messaggio ai suoi genitori poi, è un vero e proprio manifesto pedagogico. Prima di tutto per lo splendido modo che Jannik ha scelto dicendo loro non «grazie per quello che avete fatto con me», ma «auguro a tutti di avere genitori come voi». Educare, ci ha ricordato Sinner, è diverso dall’istruire. Non è sufficiente insegnare una “tecnica” a un atleta, a un dipendente, a uno studente, a un figlio o a un bambino. Occorre piuttosto creare le condizioni intorno a lui affinché il suo talento possa detonatore, accendersi, esplodere. E la libertà di scegliere è probabilmente la più importante, forse la decisiva, di quelle condizioni. Insomma, dopo quasi quattro ore di diritti e rovesci, di colpi potenti, di palline da tennis messe sotto pressione a Sinner è bastata una manciata di secondi per dire due cose di uno straordinario impatto e di una saggezza che va ben oltre i ventidue anni di un ragazzo che è destinato a frequentare la nostra storia sportiva per tanto tempo. Jannik Sinner ha vinto e vincerà tanto perché è intelligente e perché è un ragazzo che non ha paura di fare fatica. E dopo quella rimonta pazzesca, dopo quell’ultimo punto, quando la televisione ci ha regalato l’immagine dall’alto di un atleta sdraiato a fondo campo distrutto e felice, è stato meraviglioso pensare a un aforisma di Esiodo: «Sulla strada della virtù gli dei hanno posto il sudore».