Il calcio che unisce. Spagnoli e baschi più vicini (anche) grazie a Nico
Nella nazionale spagnola di calcio sfreccia velocissimo Nico Williams, in testa una montagna di treccine rasta legate con dei nastrini gialli, nei piedi mille dribbling, sul viso la sfacciataggine buona di chi sa quanto vale. Nico è spagnolo ma anche basco, e per tanti, per quasi tutti quelli nati nella regione (Euskal Herria nella lingua locale) a cavallo tra Spagna e Francia, non è la stessa cosa, non lo è per niente. Lo capisci guardando i balconi lungo le strade di Bilbao e San Sebastián dove pressoché nessuno espone il giallo e il rosso della bandiera iberica, te lo conferma la voce ferma del turista incontrato per le strade di Milano: «No soy español, soy vasco». Eppure, quella distanza che separa universi lontani come solo i mondi vicini possono essere, poco per volta si sta assottigliando.
Nico Williams (a destra) - ANSA
Merito proprio di Nico e dei ragazzi della generazione Z, nati tra il 1995 e il 2010, che non hanno conosciuto le bombe dei separatisti dell’Eta, al massimo hanno letto Patria di Fernando Aramburu, forse non sanno di quant’era bravo il portiere Iribar e di quella volta che prima del derby tra Real Sociedad-Athletic Bilbao sfilò con l’avversario-fratello Kortabarria issando la bandiera, al tempo “fuorilegge”, dei Paesi baschi, con la croce bianca e quella verde di sant’Andrea a rifulgere sullo sfondo rosso. Allora, era il 1976, nelle due squadre potevano giocare solo baschi. Una misura che la Real Sociedad ha di molto allentato mentre vale ancora per l’Athletic, che oggi però accetta anche i nati altrove purché siano cresciuti nella giovanili della società. E d’altronde la nazionale spagnola di questi Europei è molto “basca”.
A cominciare dal tecnico de la Fuente, arrivato a Bilbao adolescente e poi per tredici anni difensore dell’Athletic prima di andare al Siviglia e poi all’Alavés. Gli atleti in rosa invece sono otto su ventisei, compreso il portiere Unai Simon, molto criticato in patria per non aver preso posizione sulle elezioni politiche francesi e in generale sul futuro dell’Europa: «Sono un calciatore e dovrei parlare solo di argomenti sportivi», la sua risposta. Una neutralità considerata inaccettabile nel tempo dei nazionalismi, con il turco Demiral a pagare con due turni di squalifica il saluto del lupo, caro agli estremisti di destra, dopo la vittoria sull’Austria. Nico Williams invece non ha bisogno di lanciare proclami o fare gesti eclatanti.
Per lui parla la storia della sua famiglia con papà Felix e mamma Maria partiti dal Ghana e arrivati in Spagna, anzi, nei Paesi baschi che per loro forse è lo stesso, dopo aver attraversato a piedi il deserto del Sahara, e mentito alla polizia del Marocco raccontando di essere in fuga dalla Liberia in guerra. Infine, l’approdo a Bilbao, con la nascita del primogenito Iñaki che, calciatore anch’egli, in omaggio alle origini dei suoi ha scelto la nazionale del Ghana. Nico invece, ventidue anni il prossimo 12 luglio, dribbla e sfreccia sulla fascia sinistra della nazionale spagnola. Così veloce che rischi di perderne la scia, e sarebbe un peccato perché i suoi capelli, i suoi guizzi sono un invito a fare festa. Cui sono tutti invitati. Baschi e spagnoli. Possibilmente insieme.