Opinioni

Sul confine e oltre / 8. Ma il buon futuro è «senza merito» (Il bene gratuito)

Luigino Bruni sabato 11 marzo 2017
Questa è la caratteristica di un animo grande e nobile:
non ricercare un utile dai benefici fatti, ma badare al beneficio in se stesso
Seneca, De Beneficiis

Sine merito: senza merito. Era questo il nome con cui tra Medioevo e Modernità venivano chiamati i primi Monti di pietà, quelle proto-banche popolari create e promosse dai francescani dell’Osservanza. Per sottolineare la loro natura di istituzioni umanitarie o filantropiche, si negava la presenza del merito. Qualche secolo prima, Bernardo di Chiaravalle descriveva la passione di Cristo come: donum sine pretio, gratia sine merito, charitas sine modo: dono senza prezzo, grazia senza merito, amore senza misura. Per dire dono escludeva il prezzo, per dire amore eliminava la misura, per dire grazia negava il merito. Merito prezzo misura, da una parte; dono grazia carità, dall’altra.

Queste distinzioni e opposizioni hanno retto l’ethos e la spiritualità dell’Occidente per molti secoli, finché la cultura capitalista, con la sua nuova religione pelagiana e quindi meritocratica, ci ha finalmente convinto che tutte quelle parole fossero invece dalla stessa parte, amiche e alleate; che il dono andasse insieme al prezzo, che merito fosse un nome nuovo dell’amore, che la grazia/gratuità fosse utile solo se presente nella “giusta” (e microscopica) misura, come nei vaccini dove si introduce nel corpo una minuscola dose di virus per immunizzarci da esso.

Le maggiori innovazioni umane sono avvenute quando dentro una religione, una filosofia, una tradizione sapienziale, qualcuno ha spezzato il rapporto economico-retributivo con gli dèi, con gli idoli, con i faraoni e con i re, e ha proclamato un giubileo “di liberazione dei prigionieri”. Una di queste grandi innovazioni antropologiche e teologiche è contenuta nel libro di Giobbe, il libro biblico che più ha combattuto la logica economico-retributiva della fede. Il libro si apre con una scommessa tra Dio-Elohim e il suo angelo Satan, che riguarda esattamente la gratuità. Il Satan, leggiamo nel Prologo, era tornato da un giro sulla terra, e notata la rettitudine di Giobbe, chiede a Dio: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani (...). Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!» (Giobbe 1,9-11). Interessante che l’autore del racconto scelga Satan come esponente della visione “economica” della religione e della vita – una scelta che già in sé dice molte cose. Il Satan sfida Elohim e sfida Giobbe, sfida Dio e sfida l’uomo, per provare se è possibile che sulla terra ci sia almeno un uomo che tema-ami Dio “per nulla”, cioè gratuitamente, senza una ricompensa, senza essere “pagato”.

Sappiamo essere buoni e giusti per il valore intrinseco della bontà e della giustizia, o solo perché speriamo in una qualche ricompensa? Siamo capaci di amore puro o, invece, siamo soltanto dentro un registro commerciale di dare-avere? Si comprende allora che il tema della gratuità è profondamente legato a quello della libertà: che cosa resta della libertà nostra e di quella degli altri se, in realtà, nel cuore delle nostre azioni c’è un padrone che pagando ci fa fare quello che vuole – il primo a essere liberato in ogni superamento delle religioni retributive, ieri e oggi, è Dio stesso, che finalmente esce dai palazzi dei re e degli imperatori e viene ad abitare in mezzo a noi.

Non stupisce allora che alcune tappe decisive della storia umana siano state scandite da dibattiti, scismi, rivoluzioni che avevano a che fare direttamente con la gratuità. Che cosa è che ci salva veramente? Sono i meriti, gli incentivi, l’utile, o è invece qualcos’altro che vale proprio perché non è merito, non è incentivo, non è utile? Valiamo, abbiamo una dignità infinita, perché ce lo meritiamo, perché siamo utili a qualcuno o a qualcosa, o invece per qualche altra ragione che viene prima di tutto questo? Sta qui, nella sua essenza, la natura di quella dimensione che chiamiamo gratuità, che le culture, le religioni e le filosofie hanno declinato in molti modi, ma che al centro ha questa dimensione di non-utile, di non-merito, di non-incentivo. La resistenza costante che le civiltà hanno sempre opposto, fino a tempi recenti, all’affermazione della logica del mercato derivava dall’intuizione, formulata in vari modi, che quando nei rapporti umani scatta il registro mercantile, questo ha una tendenza invincibile a scacciare e a distruggere proprio quel qualcosa di vago, difficile da definire, sottile ed essenziale che si chiama gratuità.

L’incentivo è oggi lo strumento principale con il quale il culto capitalistico sta eliminando la gratuità dal mondo degli uomini – grazie a Dio, di gratuità ce ne sarà sempre molta nella natura, nel sole, nel cielo, nella vita degli animali, nella pioggia e nella neve, nei bambini. Ogni culto idolatrico tende, infatti, all’eliminazione di ogni dimensione intrinseca nelle nostre azioni. Finché facciamo qualcosa perché ci crediamo o perché ci piace, non siamo ancora prigionieri degli idoli. L’ideologia dell’incentivo produce esattamente lo svuotamento delle dimensioni intrinseche dell’azione, perché assegnando un prezzo a ogni cosa e a ogni atto, finisce per espellere la gratuità dal mondo. L’incompatibilità tra la gratuità e l’ideologia dell’incentivo non sta nell’opposizione gratis-pagamento (c’è molta gratuità dentro molti rapporti retti da contratti e regolati da prezzi, e ci sono molti servizi resi gratis che non hanno alcuna gratuità). Il conflitto è più radicale, e rimanda esattamente a quella tesi del Satan: non è possibile che le persone facciano cose buone gratuitamente, “senza essere pagati”.

La fede nell’incentivo si sta estendendo indisturbata ovunque, perché, paradossalmente, si presenta come una espressione della “libertà dei moderni”.

Una delle sue ultime conquiste è la cosiddetta sharing economy. La condivisione di case, automobili, pasti, si presentano oggi come esperienze innovative e più umane di quelle possibili nei tradizionali mercati e imprese capitalistiche. E alcune lo sono realmente. Ma, come sempre, per capire che cosa sta accadendo anche in questo affascinante e variegato mondo della sharing economy, bisogna essere capaci di vedere i suoi effetti non-intenzionali, che sono quelli più importanti.

L’essenza della sharing economy consiste nel creare nuovi mercati in ambiti precedentemente retti dalla gratuità. Fino a pochi anni fa, per andare in vacanza si doveva scegliere tra un amico che ci ospitava o un hotel. Se volevamo andare a cena fuori, l’alternativa era tra amici-parenti e ristorante. Se dovevamo fare un viaggio potevamo affidarci all’autostop o ai mezzi a pagamento. Due mondi ben distinti e retti da logiche ben diverse: gratuità e profitto. Oggi si sta sviluppando una terza via: per andare in vacanza possiamo essere ospitati anche da famiglie sconosciute; per cenare fuori ci sono persone che organizzano cene per noi; per viaggiare c’è anche una rete che associa domanda e offerta di passaggi in auto; e molto altro ancora: basta pagare qualcosa. Il mercato continua a fare il suo mestiere, offrendo scambi di mutuo vantaggio, che consentono incontri tra persone che non si sarebbero mai incontrate senza questi nuovi mercati “collaborativi”, che funzionano grazie alla combinazione di socialità e profitto. Un fenomeno che piace molto, perché sembra aggiungere una nuova opportunità lasciando tutto il resto intatto (hotel, amici, ristoranti, treni, autostop …). Allarga l’insieme delle scelte possibili, e quindi espande le libertà delle persone e delle società.

In realtà, il mercato e i suoi attori hanno già capito che l’arrivo di questi nuovi “prodotti low cost” non lascia affatto intatti i mercati precedenti, perché è in atto, anche qui, una “distruzione creatrice” che sta scardinando antichi equilibri e rendite, e che potrebbe creare nel medio periodo un’autentica rivoluzione. E così i protagonisti dei mercati di oggi reagiscono, si preoccupano, e i più scaltri cercano alleanze con questi nuovi soggetti.

Nel secondo ambito coinvolto dalla rivoluzione della sharing economy, quello della gratuità o della socialità sine merito, tutto tace. Gli interessi dei mercanti sono concentrati, chiari e forti, e così decise sono le reazioni. Gli “interessi” dei non-mercanti sono invece diffusi, poco visibili e soprattutto molto deboli. Per la gratuità non ci sono organizzazioni di categoria, sindacati, né tantomeno politici di riferimento. E così nessuno si muove. E non ci accorgiamo che anche sull’altro lato della sharing economy è in atto una “distruzione creatrice”, che avvenendo su beni comuni e senza diritti di proprietà, si compie nell’indifferenza o tra gli applausi, e qualche volta è accolta con lo stesso entusiasmo con cui l’imperatore azteco Montezuma accolse lo spagnolo Cortés, pensando che fosse ritornato il loro dio (Quetzalcoatl). Quando il mio vicino di casa inizia a organizzare a casa sua cene a pagamento, ciò che accade è la creazione, invisibile ma realissima, di un “costo opportunità”. Anche se non farò il mio home restaurant, quella creazione di prezzo agisce anche su di me. Perché quando farò i miei conti per calcolare il costo di una cena con sette amici, non userò il costo di mercato degli ingredienti, ma il maggiore “costo opportunità” della cena dei vicini. E magari, un giorno, concluderò che costa troppo, e rinuncerò a questa socialità gratuita, o comincerò a chiedere un prezzo – o quantomeno un rimborso spese.
Altri continueranno a invitare amici a cena, con lo sconto del 50% sul prezzo della cena simile nell’appartamento accanto. E presteremo la casa a un nostro parente con uno sconto dell’80% sul prezzo corrente nella sharing economy delle abitazioni. Noi ci sentiremo generosi, e loro penseranno di aver ricevuto un dono. E i poveri saranno sempre più esclusi dalle case, dai viaggi, dai pasti, emarginati da una cultura che non vuole più nulla e nessuno sine merito.

Presto questi nuovi mercati sociali saranno regolati e diventeranno mercati come tutti gli altri. Nel frattempo, però, avremo ancora ridotto il campo della gratuità, e avremo sempre meno amici.

Nel libro di Giobbe, il Satan non vince la sua scommessa, perché Giobbe è capace di continuare a essere giusto “per nulla”, gratuitamente. Per oltre duemila anni la sua vittoria è stata anche la nostra, e siamo stati capaci di invitare a cena qualcuno “senza ricompensa”. Ma se domani, un altro angelo farà un altro giro in cerca di qualcuno capace di gratuità, riuscirà a trovare un nuovo Giobbe sulla nostra terra del merito, dell’utile e dell’incentivo?

l.bruni@lumsa.it