Lo stop alla pubblicità. Il buon diritto che impone di arginare l’azzardo
Il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo, contenuto nel Decreto Dignità, ha suscitato applausi, ma ha anche provocato reazioni e suscitato polemiche che mirano a impedire la piena comprensione delle solide argomentazioni, giuridiche e no, su cui invece si basa il provvedimento ora all’esame del Parlamento. È tuttavia pacifico e condiviso da tutti gli attori del mercato come l’impiego di tecniche pubblicitarie sempre più raffinate e talora occulte, abbia storicamente giustificato la regolamentazione del fenomeno della pubblicità, anche nei suoi risvolti sociali. I legislatori occidentali si sono nel tempo e a ragione interrogati sulla promozione commerciale di quei beni che, in considerazione della nocività alla salute e alla integrità psico-fisica, doveva essere sottoposta a regolamentazione o vietata.
Così è avvenuto per le sigarette. Possono essere prodotte e vendute, osservando certe regole, ma non si può propagandare un’abitudine tanto nociva per la salute (concetto che non si esaurisce, anche giuridicamente, in quella del corpo). Lo stesso dicasi per le pubblicità dei prodotti alcolici che, pur lecite, non possono, attraverso spot suggestivi e oltremodo aggressivi incentivare l’abuso nei soggetti più fragili; allo stesso modo, cautele vanno apprestate per i messaggi promozionali relativi ad automobili o motociclette, onde evitarne l’utilizzo pericoloso e irresponsabile.
Norme specifiche ancor più garantiste sono poi dedicate alla pubblicità di prodotti per bambini e adolescenti. Un’accusa poi davvero mal posta è che con limitazione e divieti alla pubblicità si finisca per intaccare uno dei princìpi cardine dello Stato di diritto: la libertà di espressione. Tale critica non ha alcun fondamento. È, infatti, da oltre cinquant’anni che la Corte costituzionale ci ricorda che l’art. 21 della Costituzione non si applica alla réclame commerciale, assoggettabile invece, ai limiti e ai divieti, che la legge può prescrivere alle attività economiche quando il loro esercizio si svolga «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art 41, comma 2 Cost.).
Il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo previsto dal Decreto Dignità non fa, dunque, che rappresentare un giusto, necessario, naturale, argine a quella che costituisce oramai una nozione scientificamente acquisita: la ludopatia o, meglio, l’azzardopatia, malattia con effetti devastanti, tanto per chi ne soffre quanto per la società. Una dipendenza contro la quale le Autorità socio-sanitarie hanno varato specifici programmi di cura e recupero, come quelli promossi dalla Lombardia, Regione con la maggior spesa in assoluto per il gioco d’azzardo (v. in particolare le leggi r. 8/2013 e 11/2015, i cui contenuti principali sono stati confermati dalla l.r. 5/2018).
Una dipendenza contro quale sono stati varati significativi accordi, talora parzialmente attuati, come quello del settembre 2017, in Conferenza unificata Governo-Enti locali che contempla tra l’altro: la riduzione in tre anni dei cosiddetti punti gioco e delle slot machine entro il 2018, distanza dei punti gioco dai luoghi 'sensibili' come scuole e chiese, potere decisorio dei sindaci in merito agli orari di chiusura, identificazione dei giocatori e videosorveglianza. Anticipando l’entrata in vigore dello stesso Decreto Dignità, anche un gigante come Google ha assunto una posizione molto netta, aggiornando la propria complessiva privacy policy in materia di advertising del gioco d’azzardo e prevendendo in particolare lo stop alla sua sponsorizzazione. Niente più pubblicità, «con effetto immediato», per giochi d’azzardo e scommesse via AdWords, il servizio di advertising che permette di inserire spazi pubblicitari all’interno delle pagine di Google.
Gli unici 'prodotti' consentiti per l’Italia, così come previsto dallo stesso Decreto Dignità, sono quelli relativi alle «lotterie a estrazione differita gestite da entità statali», come la Lotteria Italia. Google non ammetterà più annunci di casinò con sede fisica e di scommesse online. Gli inserzionisti, inoltre, devono essere certificati. Che un gigante del web abbia già adottato ciò che auspicabilmente avverrà in Italia con la conversione del decreto, rafforza la convinzione che non sia etico e forse neanche conveniente alla propria immagine commerciale (per tacere di quella personale di popolari sportivi, dai quali ci si aspetterebbero ben altri messaggi ai giovani) rastrellare inserzioni certamente danarose ma che incentivano vizi tali da condurre tante vite umane sull’orlo della catastrofe personale, talvolta oltrepassandolo drammaticamente.
Anche per questo va salutato come una conquista di civiltà il divieto degli spot sui giochi d’azzardo, con l’auspicio che tale visione (con le norme che ne discendono) non abbia un solo colore politico, ma possa diventare sempre più stabile patrimonio comune del nostro Parlamento.
Presidente di Scienza&Vita, prorettore della Università Europea di Roma e ordinario di Diritto privato.Presidente del Movimento Consumatori, ordinario fuori ruolo di Diritto industriale nell’Università di Milano, docente alla Luiss