Opinioni

Progresso tecnico e pregiudizi. Intelligenza artificiale, una svolta che sia per l’uomo

Alberto Contri* mercoledì 4 aprile 2018

Dovevamo aspettare l’improvviso, ma per nulla sorprendente, fallimento della catena di distribuzione Trony (e quelli che si annunciano all’orizzonte) per accorgerci che le applicazioni di straordinarie intuizioni nel campo del commercio online avrebbero finito con l’arricchire solo i loro inventori, distruggendo più posti di lavoro di quelli che creano, come ha rilevato recentemente l’Economic Policy Institute americano?

Ma incombe anche un’altra minaccia: molti dei posti di lavoro creati dai giganti dell’ecommerce, oltre ad essere di scarso livello, sono destinati a essere ben presto occupati da robot, come si evince dalle più recenti soluzioni logistiche già utilizzate nei magazzini del gruppo cinese Alibaba. Più in generale, c’è da chiedersi se lo sviluppo tecnologico e digitale stia andando a vantaggio dell’uomo, o vada solo a vantaggio di quei quattro/cinque miliardari che da soli già possiedono una notevole parte delle ricchezze del mondo.

Appena si fanno queste osservazioni si viene immediatamente tacciati di essere contro il progresso dagli appassionati a oltranza dello sviluppo digitale e dell’intelligenza artificiale (IA). Se è ovvio che il progresso e la ricerca non debbano essere rallentati, è altresì sacrosanto preoccuparsi di un loro eventuale uso maldestro o non utile allo sviluppo dell’umanità.

A proposito di intelligenza artificiale, occorre poi intendersi sul suo significato, perché definirla tale induce a fare grandi confusioni. In realtà, si tratta di potenza di calcolo, che può raggiungere sicuramente vette del tutto inimmaginabili, come dimostra il nuovo supercomputer cinese Sunway TaihuLight, cha ha una capacità di 93 petaflop (vale a dire 93 milioni di miliardi di calcoli a virgola mobile al secondo!). È indubbio che macchine con simili prestazioni schiudano nuovi orizzonti all’impiego dei 'big data' e degli algoritmi, su cui si basano molte delle attuali innovazioni, soprattutto nel marketing e nella comunicazione.

Negli ultimi giorni è apparso però chiaro che proprio un cattivo uso degli algoritmi – definiti da molti una sorta di nuova frontiera – si presta a creare pesanti ingerenze nella gestione di elezioni, violare la privacy delle persone, e provocare guai gravi come i recenti incidenti delle macchine senza pilota, o meno gravi come le improvvise risate notturne dell’assistente virtuale di Amazon. Forse è il caso di pensare a uno sviluppo che non abbia costi insostenibili, anche alla luce del pensiero di uno dei massimi studiosi della trasformazione digitale, David L. Rogers, docente alla Columbia Business School: «La trasformazione digitale non riguarda l’innovazione tecnologica, ma il miglioramento del nostro pensiero strategico».

E di quello di una gloria nazionale della ricerca informatica, Giulia Baccarin, definita la regina italiana degli algoritmi: «Se le macchine sono istruite a pensare senza partire dalla giusta diversità di visione, le macchine alimenteranno le singole prospettive che hanno già imparato, moltiplicandole. Amplificando quindi dei pregiudizi. Il pregiudizio però non è nato con internet, è sempre esistito... oggi però è differente l’intensità che i pregiudizi possono avere grazie ai dati e all’intelligenza artificiale».

È quindi il caso di indirizzare meglio la ricerca, potenziando quella che porta a soluzioni in grado di sostenere l’uomo in tanti campi. E non quelle destinate a prendere il suo posto, come il grande fisico Stephen Hawking da poco scomparso ha sempre temuto e denunciato.

*Docente di Comunicazione Sociale all’Università Iulm