I conti nel Pd e del M5S. I voti perduti, i voti non trovati
Mentre si consuma la frattura del centrodestra, che segue quella meno drammatica e non meno significativa dell’area centrista, le altre formazioni politiche, il Partito democratico, principale forza di maggioranza e il Movimento 5 Stelle, attualmente la maggiore opposizione parlamentare, vivono anch’esse fasi piuttosto complesse, il che completa il panorama di un sistema politico ancora lontano da un assestamento e da un equilibrio stabile. La prima fase congressuale del Pd, quella riservata agli iscritti, ha consegnato il primato a Matteo Renzi, ma sullo sfondo di una considerevole riduzione dei partecipanti alle votazioni. Paradossalmente, a Renzi è bastato mantenere il consenso che aveva raccolto l’anno scorso, quando venne sconfitto da Pierluigi Bersani (il dato salta agli occhi se si proietta l’esito delle primarie tra i simpatizzanti sul numero degli iscritti che ora hanno partecipato alla consultazione nei circoli). Numeri interni che sono diventati maggioritari per la riduzione del totale dei partecipanti. Ad aver dimezzato la propria base sono proprio coloro che, a torto o ragione, sono stati raccontati come i sostenitori del “partito delle tessere”. Forse la reazione piuttosto scomposta di Massimo D’Alema è dovuta proprio alla consapevolezza che questo fenomeno sembra segnare in modo irreversibile una trasformazione del partito di centrosinistra o, almeno, il definitivo tramonto della logica di pattuizione tra rappresentanze di partiti confluiti e disciolti su cui era basata la sua struttura interna fino ad oggi.
Naturalmente il rinsecchimento del partito delle tessere (accompagnato anche da fenomeni poco commendevoli di sospetto gonfiamento delle adesioni) non produce, di per sé, la costruzione di una nuova prospettiva. Il sistema delle primarie, che era stato introdotto per dare una sanzione popolare alle scelte di mediazione di vertice sulle candidature, si è trasformato in un rullo compressore che ha sepolto la logica stessa da cui aveva tratto origine, dimostrando quindi una vitalità persino inattesa. Tuttavia la consultazione degli elettori è un avvenimento decisivo, ma non ordinario, che definisce la leadership alla quale poi spetta l’onere di dare un corpo anche organizzato al partito, impresa che non si presenta semplice anche per le tenaci resistenze, alcune esplicite, altre, più pericolose, sotterranee, che si oppongono a una trasformazione gestita con spirito unitario.
Se la consultazione “aperta” degli elettori dovesse riscontare un analogo fenomeno di riduzione dell’interesse e della partecipazione (anche in seguito alla preannuciata rinuncia di personalità come l’ex premier Romano Prodi o della segretaria della Cgil Susanna Camusso) il lavoro di ristrutturazione della presenza organizzata del partito cui dovrà dedicarsi proprio chi finora si è caratterizzato come il “rottamatore” risulterà ancora più arduo. Questa difficoltà potrebbe spingere a bruciare le tappe, revocando la fiducia all’esecutivo di intese sempre meno larghe, per andare a una scommessa elettorale immediata, anche approfittando della confusione regnante tra i moderati e della fase poco felice attraversata dal M5S.Le più recenti consultazioni elettorali, quelle del Trentino e ora quelle della Basilicata, hanno ridotto in modo consistente il seguito elettorale dei seguaci di Beppe Grillo, pur nel quadro, particolarmente netto nella consultazione di domenica e lunedì scorsi, di ua forte disaffezione dalla partecipazione al voto. Si può pensare che l’immensa riserva di astenuti può contenere anche le potenzialità di conferma degli inattesi esiti ottenuti dai “grillini” nelle ultime consultazioni politiche. Però è un fatto (non il risultato di un sondaggio) che, pur in presenza di sviluppi non esaltanti nell’azione delle forze politiche tradizionali, molti degli elettori che avevano premiato Grillo hanno preferito, invece restarsene a casa, forse anche perché ormai appare piuttosto evidente la distanza tra le promesse palingenetiche della propaganda e l’esito più che modesto della gestione un po’ affannata della funzione di principale opposizione parlamentare. Un segnale d’allarme per Grillo e i suoi, non una consolazione per tutti gli altri.