Le implica- zioni della crisi finanziaria si fanno sentire anche sull'economia reale. Lo si capisce da molte cose in questi giorni: sconti e ribassi ovunque, incremento delle ore di cassa integrazione, annunci di licenziamenti e di ricorso alla "mobilità", l'assenza di code davanti ai negozi per i consueti regali, il ritorno di lavori desueti come quelli di riparazione di utensili, oggetti, capi di abbigliamento. La crisi nasce da lontano, lo sappiamo, ma trova certamente tra le sue "fonti originarie" una concezione dello sviluppo e del lavoro che come scrive Giorgio Vittadini («Dietro-front: torniamo all'economia reale», Economy) non ha tenuto in conto il necessario equilibrio da perseguire «tra tutte le dimensioni della vita umana, familiare, sociale, ambientale, religiosa». La definisce con molta efficacia una concezione del «lavoro dal fiato corto» che poggia su un'idea di impresa di breve respiro che ha messo in soffitta la centralità dell'uomo. È questo allora il tempo «per girare una chiave diversa e ripartire», ha affermato qualche giorno fa sulle pagine di questo giornale Luigi Campiglio, prorettore dell'Università Cattolica. Occorre promuovere, ha aggiunto, «il ritorno all'etica non solo in banca o nelle transazioni finanziarie, ma anche nel lavoro. Valori quali l'onestà, la responsabilità, il gusto del fare bene sono da rimettere al centro» dell'azione imprenditoriale e di quanti dirigono le imprese affinché la valutazione degli stessi sia posta a fondamento dei sistemi premianti anche nelle aziende. C'è forte "risonanza" tra queste riflessioni, che propongono una lettura contemporanea di alcune pagine della Dottrina sociale della Chiesa, e quanto ha appena scritto Richard Sennett, l'autorevole sociologo americano noto per i suoi studi sul disagio contemporaneo della persona nell'epoca della globalizzazione e del "nuovo capitalismo". È infatti appena uscito in libreria un suo nuovo saggio " L'uomo artigiano (Feltrinelli) " che ci invita a rileggere il mito greco di Efesto, il fabbro che forgiò lo scudo di Achille, per costruire una proposta che suona come una provocazione in questa società di reti, connessioni, tecnologia, velocità, pensiero complesso. Cosa può insegnarci ancora questo mito greco e, soprattutto, l'artigiano? Possono avere ancora un senso queste cose nella post-modernità? Sennett ci propone una rilettura dei valori dell'artigiano per andare a rintracciare, in quest'epoca di transizione, chi sono i nuovi fabbri, falegnami, carpentieri. Ma soprattutto per valorizzarne alcune sue competenze per farle diventare la nuova piattaforma su cui costruire il lavoro, la professionalità, l'impegno, l'etica negli affari. L'artigiano, infatti, ci può ancora dire molto. Può insegnarci l'orgoglio per il proprio lavoro; la passione per il lavoro "ben fatto"; il pieno coinvolgimento anche emotivo; l'attenzione e l'interesse genuino per le conseguenze dei propri "manufatti". Il tema allora va spostato sul piano dell'azione per mettere in campo progetti politici, sociali e di business management capaci di promuovere contesti organizzativi nelle imprese e negli altri luoghi di lavoro ove le persone possano sentirsi orgogliose del proprio mestiere e dove manager e collaboratori siano incentivati ad andare "oltre" quello che si fa per preoccuparsi anche delle conseguenze delle azioni sui clienti, sui fornitori, sui colleghi, sulla comunità. È questo il fondamento su cui "girare la chiave" per realizzare una diversa etica sul lavoro.