Analisi. Per una sanità efficiente va superata la logica malata del risparmio
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Sono inaccettabili gli episodi di violenza nei confronti di medici, infermieri e operatori sanitari. Alcuni sembrano organizzati, tuttavia il malumore verso il Servizio sanitario nazionale è davvero diffuso e accompagnato da un malessere generalizzato, perché il rapporto fra cittadino e Ssn da tempo è caratterizzato da disservizi, mancanza di personale, disorganizzazione. Ne soffrono gli utenti quanto gli operatori e i gestori.
La sanità è il settore che probabilmente registra il più sensibile cambiamento d’epoca, il che implica che le scelte politiche assumano le innovazioni scientifiche e tecnologiche, in continuo e rapido movimento, per adeguare funzioni, obiettivi e finanziamenti. Sono molti i documenti che illustrano l’attuale situazione di affanno del Ssn. Sono diversamente declinate le statistiche che denunciano carenza di personale, tuttavia questa è oggettivamente la causa principale di un rapporto difficile col sistema sia dei cittadini che degli operatori. Per oltre un decennio a partire dal 2005 incredibilmente è stato bloccato il turnover del personale, secondo la logica malata del risparmio che non considera la sanità come settore prioritario, come se con minor personale diminuissero le prestazioni. Invece la popolazione invecchia, la tecnologia modifica l’organizzazione e la ricerca offre sempre più possibilità di cura e assistenza. Col Pnrr si sono trovate risorse per una innovazione che – dall’approvazione della Riforma sanitaria nel 1978 – chiedeva di implementare l’assistenza primaria, la medicina del territorio e di superare una medicina ospedalocentrica. Alcune Regioni si sono attrezzate ma la gran parte segnala ancora una assistenza territoriale deficitaria. Nelle Case di Comunità (previste oltre 1.400 ma realizzate poco più di 400, prevalentemente al Nord) si potrebbero finalmente concentrare tutte le funzioni che non sono ospedaliere e avvicinare in tal modo tutti i servizi ai cittadini.
Quanto alla deospedalizzazione, per evitare ricoveri impropri, siamo stati fin troppo diligenti nel ridurre il numero dei posti letto, e ora è inferiore a quello di tutti i Paesi europei. Ce ne siamo accorti tragicamente durante l’epidemia, registrando carenze soprattutto in alcuni reparti (come le Rianimazioni). L’articolo 32 della Costituzione è perentorio eppure disatteso: chiede universalismo, uguaglianza ed equità. Purtroppo i cittadini sperimentano personalmente di poter disporre in quantità e qualità di servizi e strutture secondo il luogo di residenza. Il fenomeno più discusso dai media e che esaspera maggiormente i cittadini sono le liste d’attesa. Le ipotesi di soluzione o le scelte già attuate stanno dimostrando non solo l’insufficienza ma anche la non congruità rispetto alle necessità di una popolazione evoluta nella richiesta esigente del diritto alla tutela della salute. La programmazione pluriennale (questa sconosciuta) deve riconoscere i bisogni dei cittadini – anche senza Intelligenza artificiale – perché i fondamentali della salute devono tenere conto di altri dati irrinunciabili, sociali, culturali, economici. Anche per i professionisti è mortificante lavorare in situazioni territoriali differenziate per quantità di risorse nelle regioni in cui lavorano. Sono molte le denunce di cittadini che non possono contare sul medico di famiglia né essere accettati negli ambulatori specialistici.
Meglio non parlare poi dei Pronto Soccorso. Che accoglienza viene riservata ai pazienti e ai loro accompagnatori? Spazi anonimi e affollati, operatori sotto organico e retribuiti come gli altri ma con turni di lavoro spaventosi. È giunto il tempo di avere il coraggio di differenziare contrattualmente la qualità delle funzioni. Ruolo e formazione dei medici e di tutti i professionisti del Sistema sanitario si modifica con le evoluzioni della società e delle loro discipline. All’università si deve chiedere (Università e Salute non siedono insieme in Consiglio dei ministri?), pur nella sua autonomia, di valorizzare e assecondare i nuovi bisogni, secondo l’evoluzione scientifica della medicina, della ricerca tecnologica, biomedica, farmaceutica e della maggiore informazione della popolazione. La formazione degli specialisti per colmare il vuoto attuale di medici (30mila?) e infermieri (70mila?) richiederà da 6 a 10 anni. I numeri sono ballerini ma indicativi perché le istituzioni sanitarie si facciano carico del fabbisogno, tenendo conto dei dati epidemiologici: medicina generale, geriatria (si sta prendendo nota dell’invecchiamento della popolazione?), o pediatria (migliorando la natalità).
Messi nelle condizioni migliori per poter svolgere serenamente l’attività professionale, gli operatori possono dedicarsi ai pazienti e ai loro familiari in modo da renderli consapevoli e partecipi, cosicché la richiesta di consenso informato e la comunicazione medico-paziente siano davvero parte della cura. Il servizio di cura alle persone sono le persone! E infine, il finanziamento: non è una variabile indipendente. Si deve prevedere una quota fissa del Pil per dare continuità a una pianificazione pluriennale. Il Sistema sanitario è complesso e prezioso. Se non ci sono tesoretti per finanziarlo, perché non ricorrere al Mes, il fondo europeo per il Meccanismo europeo di stabilità? È certamente bene e urgente che le istituzioni attivino strumenti a difesa delle strutture e del personale, ma i migliori difensori del nostro Sistema sanitario sono gli operatori e i cittadini, se soddisfatti nelle loro esigenze. Un obiettivo primario per garantire sicurezza e benessere, dentro e fuori i luoghi di cura.