«Per chi suona la campana» è il titolo enigmatico di un romanzo (e di un film) famoso. Nella mia città, mentre sono piacevolmente circondato dal festoso happening del Salone del mobile, mi domando per chi suoneranno le campane della Pasqua. È strano. Una fiera del mobile, nella desertificazione della città moderna, fa circolare flussi e mulinelli di vitalità conviviale anche intorno e dentro gli unici luoghi umanamente ancora abitabili del paesaggio urbano odierno: ossia chiese e cortili, monumenti e chiostri. La vecchia signora – la città che abbiamo amato – si trova insolitamente corteggiata. Quasi sorpresa, sfoggia il suo habitat migliore per stuoli di ammiratori, per lo più ignari. E scopre di saper attirare ancora sguardi di rapimento, in signorile competizione – persino – con le volonterose innovazioni del design e del fashion post-moderno. Attimo fuggente, certo. Per il resto l’habitat rimarrà saldamente nelle mani di un pensiero unico altamente specializzato dell’architettura civile, dell’arredo urbano, dei beni culturali. Il quale però, posso sbagliarmi, di questo profumo inafferrabile dell’abitare umano non lascia filtrare quasi niente. L’inaridimento della condizione urbana è tale che ormai ci facciamo andar bene anche le bancarelle. Pensa ora ai corpi di cui la città, nonostante tutto, gode e soffre, ricorda e immagina, spera e vive. I corpi che nascono e vengono al mondo, i corpi dell’amore e della cura, i corpi dei giovani che apprendono idee e animano la scena, i corpi degli uomini e delle donne che sostengono la fatica del lavoro e alimentano la prossimità dei legami. Quale rappresentazione è offerta di questi flussi? E quale rappresentanza è offerta per le tessiture dell’umano domestico e civile, collettivo e ospitale, creativo e generoso, che fanno l’anima della città? Il corpo della città secolare restituisce pochissimo della bellezza e della vitalità dei corpi che la abitano. Il dolore è costretto a nascondersi, dell’amore è ammessa soltanto l’eccitazione. I nuovi corpi geometrici della città-mercato e le quinte degli eventi della città-di-massa non sanno quasi più nulla dei corpi viventi che abitano la città degli uomini. L’effetto sarcofago incombe. I nostri avatar in vetrina, bianchi e mummificati, indossano i vestiti regali e i monili del Faraone e della Favorita. Bellissimi. Ma non raccontano nulla di noi. Noi siamo diversi. I nostri bambini sono diversi, i nostri vecchi sono diversi, i nostri giovani – sì, anche loro – sono diversi. Il nostro spirito è diverso: più flessuoso ed elegante, più vulnerabile e tenace di come il dio-geometra della città moderna ci dipinge. Il dolore reale, e l’amore reale, che abitano i corpi degli abitanti della città non hanno ospitalità, non hanno habitat, non hanno rappresentazione: se non come caso umano, occasionalmente e astutamente esibito dalla cronaca.
Domani inizia la Settimana Santa. Papa Francesco, ieri, ha voluto associare questo inizio all’icona più struggente della nostra incapacità di sottrarci allo scandalo del dolore innocente: «Perché soffrono i bambini?». L’enigma di tutti gli enigmi, lo scandalo di tutti gli scandali. Le campane della Pasqua ci convocano ancora una volta intorno al mistero in cui si decide – indissociabilmente – il senso di tutto il dolore e di tutto l’amore del mondo, a cominciare da quello dei figli. Perché soffre il Figlio, l’innocente che ha guarito e difeso i bambini, raccogliendo in quel gesto la discriminante di ogni fede, di ogni speranza, di ogni amore? Lui soltanto può sciogliere lo scandalo, riscattandolo dalla morte che lo rende irreparabile. Ma noi possiamo lottare con tutte le nostre forze per non diventarne complici. E solo questo ci salverà: credenti o laici che siamo. Anche di questo narrano le campane della Settimana Santa. Fino a che suonano le campane della Pasqua, alla città degli uomini è concesso di ricordare il suo punto cieco, sordo e muto. E riscattarsi. La Chiesa, certo, dev’essere la più pronta ad ascoltare. Ma la città non sia indifferente – o peggio infastidita – dai rintocchi di questo mistero. Il Corpo del Signore, crocifisso e risorto, è il nostro punto di resistenza agli imbalsamatori. Facciamolo per i figli piccoli, almeno, che quasi non sanno più di chi sono. Se siamo davvero sinceri, quando dichiariamo di volere una città più umana e più bella soprattutto per loro.