Opinioni

Musica e sport. I Ricchi e poveri colonna sonora della festa

Massimo Onofri lunedì 12 agosto 2024

La gioa delle pallavoliste azzurre

La canzone è un indimenticato monumento all’allegra spensieratezza dell’amore: cosa che ne fa una delle più canticchiate di sempre. Una di quelle che ti entrano nelle orecchie e non ti abbandonano più: «Che confusione, sarà perché ti amo/È un’emozione che cresce piano piano/ Stringimi forte e stammi più vicino/ Se ci sto bene, sarà perché ti amo».
Ammetto che domenica pomeriggio non mi aspettavo proprio che le sue note risuonassero in mondovisione al termine della straordinaria partita delle ragazze del volley che le ha incoronate campionesse olimpiche, quale euforica chiosa sonora per celebrare quel meritatissimo trionfo. Me ne rendo conto: sono uno che esercita il mestiere della critica con forsennata passione sino alla pedanteria, convinto come resto che questa speciale disposizione intellettuale coincida in tutto e per tutto, come per altro scriveva un grande inglese, col semplice atto del connettere, anche e soprattutto le cose più diverse («only connect».) Sicché la domanda mi è sorta naturale: che rapporto ci può essere, semioticamente dico, tra la vittoria dell’Italia della pallavolo femminile e questa celeberrima canzone dei Ricchi e poveri?
La nazionale oggi vincitrice vive di un’alchimia che amalgama felicemente le storie personali più diverse delle sue campionesse, il cui denominatore comune resta la straordinaria qualità atletica e un fiero sentimento d’appartenenza a una nazione che si chiama Italia, poco importa se sempre più multietnica e multiculturale. I nomi? Che solo a leggerli sono il segno d’una anagrafe dell’accoglienza e dell’integrazione: Paola Egonu, Myriam Sylla, Caterina Bosetti, Monica De Gennaro, Ekaterina Antropova, Carlotta Cambi, Gaia Giovannini, Loveth Omoruyi, Marina Lubian, Anna Danesi, Sarah Fahr, Ilaria Spirito e la sarda Alessandra Orru, proveniente da un’isola -non dimentichiamolo- in cui più della metà dei cittadini vota partiti autonomisti, se non addirittura indipendentisti. Aggiungerei poi che si tratta d’una squadra allestita da un uomo di grande esperienza, professionalità, intelligenza e talento come Julio Velasco, il quale -non dimentichiamolo- è argentino (mentre italianissimo è Daniele Santarelli l’allenatore dell’ottima Turchia).
Vengo al punto: perché la connessione televisiva tra questa vittoria e la canzone dei Ricchi e poveri mi ha lasciato perplesso? Abbiamo patito per decenni lo stereotipo, davvero internazionale, di essere il Paese della pizza, degli spaghetti e dei mandolini. Possiamo accettare ora di essere accreditati come quello dell’amore in cui tutte le differenze si annullano (compresa quella, ancora cruciale, tra «ricchi» e «poveri»)? Questa Italia, il Paese che amiamo proprio come le nostre pallavoliste, vive nella fortificazione positiva delle differenze, anche a costo di grandi conflitti. Una risposta possibile sta forse nella trasformazione del conflitto in dialogo. Le donne e gli uomini sono tutti uguali davanti a Dio e alla legge. Ma l’umanità può crescere moralmente soltanto per le differenze e grazie ad esse.