I quiz non fanno più responsabili anche sulle strade: è ora d'impegnarsi
Caro direttore,
da vescovo pensionato, mi dedico molto volentieri di più alla lettura di 'Avvenire'; ne sono contento anche per i punti di vista nuovi che porta rispetto agli altri quotidiani e al coraggio di tante inchieste e proposte. Stanno imperversando in questi giorni meraviglia, stupore, dolore, paura per tutte le morti in strada sia di innocenti pedoni sulle strisce pedonali sia nei troppi incidenti mortali che stanno aumentando. Sembra quasi di tirare un sospiro di sollievo quando si viene a sapere che l’investitore era o drogato o ubriaco. Quasi a dire: non è una fatalità, c’è una causa precisa. Quindi deve essere esemplare la punizione. Mi pare che siamo d’accordo invece che l’inasprimento delle pene non è sufficiente a frenare queste sciagure e che occorrono strade più ben fatte, una illuminazione adatta, una vigilanza più diffusa. Pochi invece dicono, come per voi è normale, che occorre insistere per una educazione alla responsabilità del cittadino e dell’automobilista. Ma non ci sono le scuoleguida? Certo, non si può però pensare di educare alla responsabilità facendo imparare a memoria dei quiz. Perché non si propongono seriamente nelle scuole-guida lezioni, insegnamenti, interventi formativi alla responsabilità, al rispetto della vita, alla massima attenzione e dedizione alla salvaguardia del proprio e dell’altro corpo? Qui è la vita che è soprattutto accantonata, la responsabilità morale pure, che non nasce spontanea se ci si prepara con una scuola-guida solo tecnica. Non potrebbe la comunità cristiana, tanto per cominciare, intanto che si coinvolgono anche altri, convincere le scuole-guida a introdurre questo insegnamento, fatto gratuitamente dalle nostre università, oso dire anche da animatori ed educatori dei nostri oratori che vedono tanti loro giovani andare a scuola-guida più presto possibile? Si può iniziare con sperimentazioni serie, gratuite, in attesa di inventare una nuova specializzazione in questo campo? È da tempo che ne parlo tra amici, ma non sono mai riuscito a smuovere un dito. Che ne dice?
Caro vescovo Domenico, penso anche io che per testare la responsabilità al volante di chiunque di noi - giovani o meno giovani - i quiz servano a poco, anzi a nulla. E questo sebbene la preparazione teorica all’uso di autoveicoli e motoveicoli serva, eccome. Serve però efficacia e convinzione, come Danilo Paolini, martedì scorso, 7 gennaio, ha argomentato a fondo in uno dei commenti che abbiamo dedicato al tema. Trovo perciò suggestiva l’idea di una collaborazione fattiva e urgente (cioè di un’«alleanza», per dirla ricorrendo a un’idea e a una pratica che ci è cara) con realtà e strutture formative cattoliche al fine di contrastare e capovolgere l’onda spesso mortale e comunque perniciosa della maleducazione anche (ma non solo) stradale. Infatti, chi educa alla vita buona, educa naturalmente all’uso intelligente di mezzi e occasioni, tutti, formando al rispetto, alla responsabilità, al senso del limite e della solidarietà. Aggiungo solo che, però, sono e resto convinto che parte di questa 'contronda educativa' possa e debba essere il risultato di una presenza davvero vigilante ex ante, e non solo e non tanto sanzionatoria ex post, dei tutori dell’ordine, dei custodi delle regole.