Il direttore risponde. I preti, la strada, il bene nascosto
Gentile direttore,
sono la mamma di un novello diacono che l’anno prossimo sarà ordinato sacerdote. Io e mio marito abbiamo accettato con gioia la vocazione di nostro figlio (unico) perché la riteniamo una grande grazia che il Signore ha voluto concederci. Prego ogni giorno perché la felicità e l’entusiasmo che traspaiono ora dai suoi occhi non si spengano mai e possano sostenerlo in ogni momento del suo ministero. Prego perché possa diventare un bravo sacerdote aperto e attento ai bisogni spirituali e materiali delle persone, soprattutto dei più deboli. Spero e prego però che la sua sia sempre una carità nella verità. Ogni tanto mi sorge un dubbio: mio figlio riuscirà a trovare il suo posto in questa Chiesa da molti dileggiata, rappresentata come se fosse divisa in due? Da una parte la Chiesa gerarchica molto disprezzata, che sembra non faccia nulla, che viva nell’oro e si disinteressi dei problemi della gente, al punto che da alcuni il Santo Padre viene chiamato "sovrano assoluto". Dall’altra parte la Chiesa delle comunità, dei preti in trincea, alcuni spesso invitati nei salotti televisivi, molto ammirata e amata anche da tanti non credenti. E i preti diocesani, quelli che stanno nelle parrocchie “normali” e che lavorano in silenzio, dove li collochiamo? La gente sa che in molte diocesi i vescovi hanno costituito un “Fondo di solidarietà per le famiglie” in difficoltà per la perdita del lavoro? Se non sei un prete di strada, se non hai fondato una comunità, non sei un buon prete? Questa mentalità è molto diffusa, ma io mi rifiuto di accettarla. La saluto cordialmente
Alma Boriani, Lodi