Stati Uniti. I piani di Biden nell'Indo-pacifico cambiano i rapporti con Pechino
Da sempre negli Stati Uniti la politica commerciale e gli accordi economici internazionali sono considerati uno degli elementi più importanti della politica estera. Il Presidente Biden aveva promesso che l’approccio alle relazioni commerciali ed economiche della sua amministrazione sarebbe stato significativamente diverso rispetto a quello del suo predecessore. Secondo molti osservatori, tuttavia, tale discontinuità ad oggi non sembra essersi concretata in ambito commerciale. Una nuova apertura del mercato americano alle merci prodotte in Cina sembrava essere la vera urgenza in ambito commerciale. Ed infatti Biden ha ricevuto un numero elevato di critiche per non aver eliminato le tariffe introdotte da Donald Trump volte a limitare le importazioni cinesi. Sebbene da più parti fosse stato evidenziato come tali misure tariffarie introdotte dalla precedente amministrazione avessero penalizzato più gli americani della controparte cinese, Joe Biden non ha ancora dato seguito alle promesse elettorali in questo senso.
Secondo molti il timore concreto del presidente del Delaware è quello non solo di essere ma anche di apparire moderato nei confronti della Cina di Xi Jinping, in particolare in questa fase in cui la recrudescenza della guerra tra Russia e Ucraina ha visto Washington e Pechino su posizioni decisamente distanti. Invero, l’amministrazione Biden ha quindi abbracciato una nuova strategia che rappresenta un cambio di rotta abbastanza radicale rispetto a quella fondata sulla prospettata normalizzazione dei rapporti con la Cina in ambito commerciale. In breve, Biden ha scelto di rafforzare e potenziare i legami economici con i paesi “amici” della regione indo-pacifica. Negli ultimi mesi, infatti, l’amministrazione Biden ha dato un segnale in questo senso lanciando l’Ipef (Indo-Pacific Economic Framework) a cui hanno aderito tredici paesi dell’area tra cui grandi economie come India, Giappone, Australia e Indonesia.
Questo accordo si propone chiaramente di istituire un’area economica integrata che sia in grado di costituire un’alternativa alla potenza economica cinese. L’Ipef ha ancora contorni e aree di intervento non definiti precisamente. Esso al momento già non si configura come un accordo commerciale di stampo tradizionale, ma piuttosto come un quadro di riferimento anche per politiche e investimenti mirati al rafforzamento delle catene del valore, all’espansione degli scambi di tecnologia, e alla cooperazione nell’ambito di politiche economiche di sostenibilità. Ad oggi l’Ipef, quindi, non prevede automaticamente una riduzione di dazi e tariffe commerciali, e infatti a dispetto delle previsioni ottimistiche, questo accordo è ancora un insieme di dichiarazioni di intenti senza significative realizzazioni. In ogni caso, se da un lato è evidente che qualsivoglia iniziativa in ambito economico necessita di un tempo adeguato per declinare i suoi effetti, dall’altro è anche vero che l’Ipef non può non essere analizzato in uno scenario più ampio che consideri le problematiche di sicurezza dell’area.
Invero, sembra corretto affermare che questa iniziativa vada a costituire uno strumento di allargamento e completamento del dialogo quadrilaterale di sicurezza formato da Stati Uniti, Giappone, India e Australia, il cosiddetto Quad. Il Quad, pur essendo ancora un’alleanza informale, è attualmente la più concreta risposta strategica alla crescita della Cina in ambito militare che non a caso ha cominciato fin da subito a preoccupare Pechino. In pratica, data la ridotta consistenza del pacchetto di misure economiche, l’iniziativa Ipef sembra piuttosto un segnale e uno strumento per rafforzare il dialogo e la cooperazione nella regione indo-pacifica includendo paesi che attualmente non sono parte del Quad. In ultima analisi, considerando congiuntamente il Quad e l’Ipef, si potrebbe riconoscere una strategia che presenta alcuni tratti di somiglianza con quella che gli Stati Uniti adottarono in Europa all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. In quegli anni, infatti, l’amministrazione americana guidata da Harry Truman e con Dean Acheson come Segretario di Stato, comprese che non era possibile immaginare una strategia di sicurezza in Europa senza un adeguato piano economico che garantisse una crescita sostenuta nel lungo periodo.
Lo sviluppo economico era in pratica interpretato non come un obiettivo in sé ma piuttosto come un fine strumentale al mantenimento della stabilità sociale nei paesi europei e quindi al contenimento del comunismo sovietico. In questa prospettiva, la nascita delle Comunità europee andava quindi a integrarsi in maniera efficace con la creazione della Nato. L’amministrazione americana a guida Joe Biden sembra aver compreso che all’indomani della pandemia del Covid fosse necessario un rafforzamento delle relazioni economiche nella regione per evitare che il rallentamento dell’economia globale, determinato dalla pandemia e più recentemente dalla crisi innestata dal conflitto in Ucraina, potesse rappresentare in diversi paesi dell’area un motivo di fragilità di cui la Cina potrebbe approfittare.
In questa prospettiva, l’Ipef rappresenta un accordo dal valore potenziale decisamente elevato. Inoltre, è da sottolineare il fatto che con l’Ipef sembra concretarsi nuovamente un’attitudine al dialogo multilaterale, che costituisce un’evidente discontinuità rispetto all’amministrazione Trump. In questo senso, Joe Biden conferma le aspettative che si avevano su di lui come potenziale manutentore se non costruttore di accordi e istituzioni internazionali dopo la fase muscolare e isolazionista di Donald Trump che ha avuto effetti disastrosi non solo per la comunità internazionale ma per gli stessi Stati Uniti. In ultimo, sebbene al momento l’Ipef appaia un’iniziativa ancora non strutturata e pertanto ancora inefficace sul piano economico, essa è sicuramente coerente con una più ampia strategia di sicurezza che mira al contenimento della Cina in un nuovo mondo bipolare in cui una Russia indebolita e impoverita dal conflitto in corso non può che divenire nei fatti subalterna alla Cina.
Il continuo sostegno americano all’Ucraina in questa fase del conflitto si può infatti anche spiegare anche con la volontà di ridimensionare Mosca al rango di alleato debole di Pechino in modo da gestire poi il confronto globale quasi esclusivamente con un’unica rivale strategica. In ogni caso, i risultati di tale strategia che ha nell’Ipef un quadro di riferimento economico, non potranno che essere valutati nel lungo periodo e quindi perché la cooperazione economica tra i paesi dell’area indopacifica abbia successo è necessario che sia abbracciata anche dalle future amministrazioni americane siano esse democratiche o repubblicane.