Opinioni

Da Berlino toni nuovi, non svolte. I paletti di Angela

Giovanni Maria Del Re venerdì 27 giugno 2014
​Forse mai come come in questi giorni Angela Merkel ha utilizzato la parola «flessibilità» riferita al Patto di Stabilità, o concetti come «consolidamento del bilancio favorevole alla crescita». Il cambiamento dei toni è evidente, ed è un chiaro segno che Berlino ha ben recepito il disperato bisogno di Paesi come Italia e Francia di "ossigeno" per poter effettuare le urgentissime riforme strutturali e far ripartire la crescita. Ed è un segno anche dell’efficacia dei frequenti colloqui tra la leader tedesca e il presidente del Consiglio Matteo Renzi (non ultimo quello di ieri sera al vertice Ue, abbastanza teso secondo alcune versioni). Il quale Renzi ha dato in cambio il via libera alla nomina di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione. La contropartita è anche la rinuncia del nostro premier a parlare di "modifiche" del Patto di stabilità.Il problema, però, è che in Italia molti hanno letto in questa "apertura" nientemeno che una rottura di Merkel con il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble (forse il più stretto collaboratore del cancelliere) e con il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. I cosiddetti "falchi", che Frau Angela avrebbe addirittura "sconfessato" parlando di "flessibilità", mentre loro insistevano sulla necessità di «non annacquare il patto» (Weidmann) e di «rispettare le regole che abbiamo concordato e ci siamo dati» (Schäuble). L’entourage del cancelliere ha registrato con stupore questa interpretazione, «un’assoluta sciocchezza – ci ha detto una fonte del governo tedesco – il cancelliere è stato chiaro: il patto è il patto».In realtà, come su queste colonne si è subito annotato, Merkel dice che si tratta di usare la flessibilità che già esiste da anni nel Patto, anche se lo fa con enfasi tutta nuova. «Tutta la flessibilità di cui abbiamo bisogno per superare i problemi – ha dichiarato un paio di giorni fa – si trova in strumenti già presenti nell’attuale patto di stabilità». Merkel aggiunge che «il patto indica da un lato chiari "guardrail" e limiti per i deficit pubblici, dall’altro contiene numerosi elementi di flessibilità. Dobbiamo usarli entrambi, come già è stato fatto in passato». Ed è vero: la Francia ha ottenuto due rinvii per rientrare sotto il 3%, l’Italia nel 2013 ha potuto aumentare il deficit con il permesso di Bruxelles per pagare i debiti della pubblica amministrazione, tanto per fare un esempio. Sarebbe, insomma, un errore pensare che Angela Merkel sia disposta a stiracchiare il patto, ad acconsentire a trucchi e trucchetti per aggirarne le regole.A Berlino non si fa anzi mistero del fatto che i moniti di Weidmann e Schäuble sono pienamente condividisi da Merkel, anche se, la "numero uno" usa toni più concilianti. Così il suo portavoce ha sottolineato che «il rispetto delle regole è cruciale per la credibilità del patto» e un alto funzionario del governo ha avvertito come Berlino sia preoccupata per il fatto che «mentre sono calati i deficit, continuano ad aumentare i debiti pubblici (proprio come sottolinea Weidmann, ndr), per cui è imprescindibile continuare sulla via delle riforme strutturali e del risanamento del bilancio». Colpisce piuttosto, e dovrebbe far riflettere, che – proprio per pressioni tedesche – l’ultima bozza del documento strategico preparato dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy sia passato dalla menzione di un «pieno utilizzo della flessibilità contenuta nel patto» a un mero «buon utilizzo». Quella di Weidmann e Schäuble sono da interpretare come precisazioni (rivolte al Sud Europa) a non travisare l’"apertura" di Merkel. È un classico gioco «poliziotto buono-poliziotto cattivo».Certo, il dato politico è che mai forse come ora, grazie anche all’ottima "chimica" tra Merkel e Renzi, Berlino è disponibile e anzi pronta ad ascoltare le istanze italiane (e francesi) e fare tutto il possibile per venir loro incontro, a patto che le riforme ci siano davvero e purché si rispettino le regole fondamentali. Magari Berlino potrà chiudere anche un occhio (ma non è detto) se il pareggio di bilancio strutturale sarà davvero nel 2016 anziché nel 2015 come vuole Bruxelles. Aspettarsi però ampie concessioni, o una flessibilità super-elastica sarebbe davvero illusorio. Il cantiere della crescita è ancora da aprire del tutto, e non sarà facile. A Palazzo Chigi l’hanno capito benissimo.