La canzone che ha vinto quest’anno a Sanremo la ricorderò per i versi centrali: «E mi dirai che un padre / non deve piangere mai / non deve piangere mai. / E mi dirai che un uomo / deve sapere difendersi», e più sotto: «E mi dirai che un padre / non deve arrendersi mai. / Tu mi dirai che un uomo / deve sapere proteggersi…». Il padre, per il figlio, è la fonte del potere, la protezione. Ci sono centomila pericoli nella vita, ma c’è il padre che ti protegge. Tu, di fronte ai pericoli, hai paura e piangi. Per fortuna, hai il padre. Il padre non deve piangere mai, il padre deve sapere difendersi, cioè difendere sé e te, il che vuol dire la famiglia. Il padre è il potere. Quando crescerai, allargherai la tua nozione di potere protettivo: c’è la famiglia, c’è la scuola, c’è il gruppo, c’è il vigile, c’è la società, c’è lo Stato. Il tuo sentirti protetto, anzi protetta (perché la canzone parla di una bambina), comincia dal tuo sentire il padre accanto a te. E se accanto a te non c’è il padre, ma ci sono due madri? Allora c’è un vuoto, manca una protezione. Il bambino ha diritto alla protezione, cioè ha diritto ad avere un padre e una madre. «Un padre / non deve piangere mai», se piange interrompe il suo ruolo di padre. Il figlio può piangere, il padre deve confortare. Il suo non-piangere deriva dal suo sapersi difendere, e quindi saperti difendere. Il padre è sicurezza, di fronte alla vita sua, alla vita tua, alla vita della famiglia. Di fronte alle minacce dei tuoi falsi amici, tu potrai a tua volta minacciarli: «Lo dirò a mio padre», e quelli avranno paura. Con un padre che non piange mai e che sa difendersi, la vita scorre come deve, tranquilla e senza minacce, senza traumi, senza crolli. È la vita del figlio che non scorge traumi nella vita del padre. Quand’è che la vita di un padre scorre senza traumi, senza crolli e senza pianti? Quando scorre dentro una civiltà pacifica e conosciuta, senza rotture, senza perdite o lutti. È la vita dei grandi, che sono grandi perché hanno lasciato un’opera di descrizione e narrazione di una grande ininterrotta civiltà. Dalla mia generazione in poi, questo è diventato impossibile. Perciò è impossibile che i miei figli non mi abbiano visto 'piangere', cadere in crisi, non sapere cosa fare o come difendermi. Come evitare i lutti per la morte delle grandi civiltà. Quando i miei figli nascevano, credevo che avrei lasciato loro un mondo in cui ci sarebbe stata ancora l’Unione Sovietica. Non c’è più. Il Comunismo. Non c’è più. La Jugoslavia, dove li portavo in vacanza. Non c’è più. Le lire, da spendere in allegria fino alle mille, con cautela da mille in su. Non ci sono più. La civiltà dei consumi: noi consumiamo molto, voi consumerete di più. È morta, ora si sta attenti al singolo euro. L’Africa: io vi porto in Egitto e in Tunisia, voi porterete i vostri figli nel Sahara e in Kenia. Quell’Africa è morta, il mal d’Africa è diventato la morte in Africa. Il modello occidentale, per cui potevamo dire al mondo: uomini di tutto il mondo, fate come noi. Ora siamo in crisi, e diciamo: inventate altre strade, non fate come noi. Il lavoro: le industrie assumevano, lo Stato apriva concorsi, la mia regione aveva disoccupazione zero. Ora i ragazzi guardano all’estero. Sono tutte sicurezze che svaniscono, e cioè perdite, e cioè lutti. E cioè pianti. Non credo di aver mai pianto, fisicamente, davanti ai figli, ma sono sicuro che loro han sentito tutte queste perdite di sicurezza, di ruolo, di protezione. La Storia ha reso impossibile il ruolo di padri. La canzone termina col padre che dice alla figlia: «Piangendo tu / Mi stringerai». Saranno i figli ad abbracciarci? A consolarci? A fare da padri ai padri? Sarebbe bello.