Botta e risposta. «Nidi a costo zero diseducativi». Gratuità non significa senza valore
Foto Ansa
Gentile direttore,
il sostegno alla famiglia è un tema caro a tutti noi cattolici che sappiamo come sia importante sostenere Gla famiglia per sostenere la società, tramite l’educazione, la condivisione, l’accompagnamento dei giovani ecc. e credo che come scrive in questo articolo di Francesco Riccardi pubblicato il 10 settembre l’assegno unico ai figli vada nella giusta direzione. Non credo invece vada in questa direzione né possa dare buoni risultati la fruizione totalmente gratuita dei servizi, perché altamente diseducativa. Chi si abitua a non pagare nulla per qualcosa, considererà quel servizio come dovuto e non lo apprezzerà davvero, oltre che averne sempre la pretesa e a non imparare mai a vivere in una società dove occorre ottenere lavorando. Occorre ridurre la spesa per i nuclei in difficoltà ma mai a prezzo zero. Credo si debba fare molta attenzione a questo aspetto.
La sua osservazione è giusta, gentile signora Guerri. Purtroppo da noi è invalsa l’abitudine a confondere la gratuità con ciò che è 'senza valore', come se la contropartita economica che normalmente caratterizza gli scambi di beni e servizi ne definisse e ne esaurisse la qualità intrinseca. In particolare se si tratta di un servizio pubblico, di cui presto, come lei dice, 'si pretende' di usufruire. È davvero triste questa involuzione del nostro pensiero, a cui sfugge come la gratuità contenga in sé invece il massimo del valore in termini di dono, di relazione e di opportunità offerte. Sia quando lo scambio gratuito avviene tra persone con beni relazionali, con il volontariato ad esempio, sia quando è lo Stato, cioè l’organizzazione che la società si è data, a fornire un servizio senza chiedere un pagamento diretto. Proprio nell’istruzione, assieme alla sanità, si tocca una delle espressioni più alte di solidarietà fra cittadini, con una redistribuzione di risorse tra chi, avendo più mezzi, con le proprie tasse contribuisce a donare l’opportunità di frequentare la scuola a quei bambini i cui genitori, altrimenti, non potrebbero permettersi di pagare un’istruzione privata. Sul piano pratico, per ovviare al problema che lei giustamente segnala, basterà forse prevedere una quota davvero minima – appena qualche euro – per iscrivere i bambini al nido, così come in realtà avviene anche per gli altri gradi di istruzione gratuita, con i contributi che oggi vanno da poche decine di euro per le scuole medie a qualche centinaio per le superiori. Su richiesta del direttore, vorrei però ribadire le buone ragioni di un simile intervento per gli asili nido, anche se non esaurisce affatto il sempre più necessario sostegno alla famiglia e alla natalità. Ampliare l’offerta di posti disponibili nei nidi, in particolare nel Mezzogiorno, e renderli (quasi) del tutto gratuiti (sempre che si trovino le risorse per farlo) significa offrire da un lato migliori opportunità di sviluppo ai bambini e, dall’altro, ampliare gli spazi di libera scelta per madri e padri che intendono conciliare famiglia e lavoro. Non tutti hanno la fortuna di avere nonni disponibili, vicini e in grado di dare i giusti stimoli ai nipoti. E proprio chi ha meno mezzi economici spesso ha anche minori risorse sociali e culturali. Agevolare un’istruzione di qualità per i figli di queste famiglie significa garantire opportunità di base simili a bambini che altrimenti sconterebbero già da subito differenze nella scala sociale che sono poi difficili da “rimontare” durante l’adolescenza e la vita adulta. Allo stesso tempo, genitori a cui viene assicurata la possibilità di mandare al nido il proprio figlio, con poca o (quasi) nessuna spesa, possono più facilmente trovare un’occupazione o non dover rinunciare all’attività che già svolgono. E qui vorrei insistere su un punto che da tempo ritengo fondamentale: la concessione ai dipendenti del part-time su semplice richiesta. La combinazione di part-time e offerta di asili nido rappresenta infatti la chiave di volta per garantire una reale conciliazione tra tempi di cura e tempi di lavoro, con un effetto fortemente positivo sia sull’occupazione, in particolare femminile, sia sulla natalità. Perché poi quest’ultimo – ma in realtà primo – obiettivo, possa essere raggiunto, come sottolineato in quell’articolo occorre sì agire sui servizi, ma non meno prevedere finalmente i giusti sostegni alla famiglia quanto a redditi e trattamento fiscale. L’assegno unico può essere uno strumento fondamentale in questa strategia. A patto di non farlo partire solo a livello simbolico, amputato o peggio distorto nell’ennesima misura per i soli nuclei meno abbienti. Il contrasto alla povertà è sacrosanto – e ha i suoi perfettibili mezzi come, ieri, il Rei e, oggi, il Reddito di cittadinanza – il sostegno alla famiglia e la promozione della natalità contro il declino demografico sono altro e necessitano di strumenti propri. Vanno portate avanti entrambe le politiche, evitando però di confonderle.