editoriale. I giovani euroscettici chiedono risposte sociali
Lo spettro dell’euroscetticismo che s’aggira per il continente ha un volto giovane. Quello di una maggioranza di ragazze e ragazzi italiani, tra i 18 e i 30 anni, per la quale l’Europa così com’è non va. Giovani che, pur riconoscendo alcuni vantaggi della "casa comune", ritengono inadeguata la guida dell’Unione Europea. E, soprattutto, misurandone la distanza dai suoi valori fondativi, la vorrebbero diversa. Profondamente diversa: più attenta agli aspetti sociali, fondata sui principi di libertà e attenzione alla persona. Arrivando a sognare il progetto di Stati Uniti d’Europa ma quasi subito arrendendosi all’idea che ciò sia difficilmente realizzabile.Sono i toni del grigio a dominare nella fotografia del rapporto sui giovani e l’Europa, scattata dall’Istituto Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica (con il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa San Paolo), di cui si discuterà lunedì prossimo in un convegno a Milano. Il 58% dei ragazzi intervistati, infatti, concorda con l’affermazione che l’Unione Europea appaia come un esperimento sostanzialmente fallito. Una bocciatura senza appello per quasi uno su quattro (22,4%) e con una maggioranza relativa di dubbiosi (35,6%), «abbastanza d’accordo» sul fallimento.
«In realtà abbiamo registrato forti differenze per stato sociale e grado di istruzione – spiega il demografo della Università Cattolica Alessandro Rosina, tra i curatori della ricerca –. Tra chi ha un basso titolo di studio o è un Neet (cioè non lavora né studia né è in formazione) il fallimento viene indicato da due giovani su tre (il 66%), mentre fra i laureati si scende a meno della metà». L’idea prevalente è quella di un giudizio negativo (59%) sull’attuale guida dell’Unione, non considerata all’altezza delle sfide che l’Europa ha davanti. Il fallimento è dunque essenzialmente politico. Ma occorre dire che, contrariamente a quanto era forse prevedibile, sembra ancora piuttosto scarso anche il senso di appartenenza dei giovani all’Europa, tuttora vista come un’insieme di realtà eterogenee, con un processo di integrazione in gran parte incompiuto. Alla domanda dei ricercatori su quale Paese sentissero loro più vicino, infatti, i giovani italiani esprimono una forte prossimità con la Spagna, ma la maggior parte di loro percepisce ancora una certa distanza da Francia e Regno Unito. Ancora più lontana è la Germania, mentre vedono come realtà molto diverse dalla propria i Paesi scandinavi e l’Est Europa. «Anche in questo caso al crescere del titolo di studio migliora la prossimità percepita verso tutti i Paesi, pur senza mutare complessivamente lo scenario – nota ancora Alessandro Rosina –. Solo una minoranza di giovani "non si sente per nulla" o "poco" cittadino europeo. E tra i laureati prevale in modo spiccato il sentimento di una comune appartenenza, anche se gli entusiasti restano una quota ridotta. Le differenze per titolo di studio sono comunque molto nette e in particolare emerge una percentuale rilevante di giovani fortemente scettici tra chi ha un basso titolo di studio. La possibilità di cogliere le opportunità dell’Europa unita sembrano quindi molto legate alla classe sociale, con un sentimento fortemente negativo tra i più svantaggiati».
Eppure questa generazione di giovani dovrebbe apprezzare le molte possibilità offerte dall’Unione europea. E in realtà, in effetti, viene particolarmente sottolineata la libertà di movimento come conquista positiva, assieme all’impulso dato alla circolazione delle merci e agli scambi economici. Così pure si riconosce alla Ue di aver favorito l’integrazione tra culture diverse. Complice la lunga crisi, però, fra gli insuccessi viene annoverata l’incapacità di promuovere l’occupazione e il benessere economico. Alla moneta unica, infatti, viene sì riconosciuta una funzione positiva quanto a mobilità di persone e beni, ma se ne lamenta l’effetto di uno scadimento del potere d’acquisto nel nostro Paese. Da parte dei giovani intervistati, oltre ai tanti limiti, si evidenziano però anche le potenzialità di una maggiore integrazione. L’Europa dovrebbe rendere più solido il progetto di unione dotandosi di una forza militare comune in grado di intervenire rapidamente nei conflitti internazionali, e più ancora essere in grado di esprimere una posizione comune sui temi di politica internazionale. L’azione maggiormente auspicata, però, è quella di una politica sociale comune ed efficace sui temi del mercato del lavoro e del welfare. «Questo indica – nota ancora Rosina – che se oggi l’Europa appare un esperimento poco convincente è soprattutto perché non è stata in grado di dimostrare di poter migliorare le condizioni di vita dei cittadini, trasformandosi in un sostegno attivo al benessere e alla capacità di fare, anziché rappresentare un vincolo», come tuttora viene in gran parte percepita. Ciò che le nuove generazioni chiedono con forza all’Unione europea è quindi soprattutto di diventare un luogo delle opportunità per tutti. E a ritenere che l’Europa abbia questa potenzialità è una larga maggioranza dei ragazzi intervistati (61%).
In questo quadro rientra pure il progetto – o forse il sogno – degli Stati Uniti d’Europa: la maggior parte degli intervistati (60% tra i maschi e 54% fra le femmine) ne auspica un rilancio. Ma il giudizio negativo sull’attuale guida dell’istituzione e un certo realismo sulle permanenti divisioni tra i Paesi portano una quasi analoga maggioranza di ragazzi (49% maschi e 54% femmine) ad essere assai pessimisti sulla possibilità che gli Stati Uniti d’Europa vedano effettivamente la luce in un futuro prossimo. Ma se poi nascesse davvero, su quali valori dovrebbe fondarsi questa nuova Europa, quali tratti sono più specificamente legati all’identità europea? Al primo posto i giovani indicano il binomio "cultura e libertà" e due ragazzi su tre il riconoscimento alla singola persona umana. La religione cristiana viene scelta da poco più del 40% degli intervistati, suggerendo, notano i ricercatori, che «per la maggioranza dei giovani a contare in modo distintivo più che la religione in sé sono i valori che ne stanno alla base e che devono diventare patrimonio comune anche per chi arriva dall’esterno e professa altre fedi». L’umanesimo cristiano come fondamento dell’unione e dell’accoglienza.
Forse in passato si è indugiato troppo su una percezione retorica della cosiddetta "Generazione Erasmus", giovani italiani dipinti come "europei di fatto" ed "europeisti per elezione", solo perché in grado di viaggiare nel continente sulle ali dei vettori low cost o (una minoranza) per le esperienze di studio all’estero. Questo nuovo rapporto dell’Istituto Toniolo getta una luce diversa. «Mettendo assieme le risposte alla varie domande, i giovani si suddividono in tre gruppi – prova a sintetizzare Rosina –. Uno su quattro è fortemente negativo e boccia senza appello l’Unione. Ci sono poi coloro che si sentono partecipi e attivi nel processo di integrazione europea, con atteggiamento costruttivo, pur riconoscendone i limiti. E c’è infine un’ampia categoria intermedia, tiepida, che riconosce il valore e le potenzialità del progetto comune, ma che è insoddisfatta per come è stato finora realizzato e poco convinta che le cose potranno migliorare in futuro, pur non avendo preclusioni». Riconquistare la fiducia – e il voto consapevole – di questa generazione non è scontato. Per farlo, però, c’è un’unica strada: l’impegno sincero e tangibile per un’Europa davvero sociale. Meno attenta ai parametri e più alla condizione reale delle persone; che investa meno nel salvataggio delle banche e più per creare occupazione; che sia anzitutto in grado di costruire un nuovo modello di sviluppo e di welfare, inclusivo per tutti. A partire dai giovani.