I frutti amari dell’assimilazione e altre evidenze
Signor Tarquinio, qualche sera l’ho sentita commentare alla rassegna stampa di Rainews le violenze in Francia. Mi ha preso lo sconforto. Lei sostiene che le violenze sarebbero causate dal rifiuto dell'assimilazione imposta dal governo francese agli islamici, che non vedrebbero riconosciuta la loro identità religiosa e culturale. Spiegazione che giustifica le malefatte di delinquenti scatenati e non tiene conto degli sforzi enormi della Repubblica francese per garantire casa sanità scuola servizi cultura ai cittadini di origine nordafricana di religione islamica. Ovunque in Francia da decenni ci sono moschee e viene pienamente riconosciuta la libertà religiosa e trovo vergognoso che lei sorvoli su questo dato così come trovo discutibile la sua critica della politica francese di assimilazione da parte di tutti i cittadini dei valori della Repubblica, visto che sono valori universali. La soluzione, secondo lei, sarebbe allora la condiscendenza verso comportamenti incivili come l'assoggettamento della donna all'uomo, l'accettazione dell'infibulazione come pratica culturale, chiudere un occhio sull'imposizione alle ragazze del niqab e sul loro allontanamento precoce dalla scuola? Lei, invece di sostenere questa battaglia di civiltà, contesta lo sforzo faticoso di Macron per convincere i musulmani che è irrinunciabile la condivisione da parte di tutti dei valori della Repubblica! Lei parlando delle violenze in Francia non ha pronunciato neanche una volta la parola “islam” e questo, lo dico da cattolica, è davvero inquietante.
Margherita Simonetta
Caro Marco Tarquinio, seguo spesso ciò che scrive e dice. Le scrivo a mia volta perché oltre alla retorica, magari becera, contro i migranti da parte di alcuni schieramenti politici, noto una forte connotazione ideologica e intollerante anche da parte di correnti di pensiero a favore dell’immigrazione, incluse quelle di matrice cattolica. Fermo restando gli obblighi morali di salvare ogni essere umano in mare e di organizzarne l’accoglienza, la critica principale che faccio alle idee anche da lei esposte è che non vi ponete mai i problemi legati ai numeri. In Africa ci sono 1 miliardo e 400 milioni di persone, in crescita esponenziale nei prossimi 10 anni. In Medio Oriente e in Asia centrale ci sono altri 400-500 milioni di persone tutti alla ricerca di un futuro migliore. I Paesi Ue hanno una popolazione di meno di 500 milioni di individui. E allora le domando, di fronte a questi numeri che significato ha parlare di accoglienza visto che se anche solo il 10% di queste popolazioni emigrasse nella Ue nei prossimi anni, questa sì che sarebbe una “sostituzione etnica” con situazioni diffuse come quelle della banlieue parigina? E ancora: le società europee sono un forte polo di attrazione perché sono società libere e democratiche con un livello di benessere e un sistema di welfare sconosciuto altrove. Ma non dobbiamo dimenticare che a questo punto si è arrivati dopo un secolo, il Novecento, di spaventose guerre che hanno visto il sacrificio di intere generazioni. È eticamente accettabile che tanti individui preferiscano abbandonare i propri Paesi invece di rimanere a lottare per costruire società più giuste a casa loro?
Bruno Lago
Credo di aver scritto e parlato un’infinità di volte dei temi che la signora Simonetta e il signor Lago mi ripropongono. Ma evidentemente non basta mai, anche perché un battage accuratamente orchestrato riduce soltanto alla loro dimensione problematica (che c’è, e non va denegata né sottovalutata) i fenomeni migratori, cioè il cammino faticoso e spesso ingiusto e doloroso di chi si risolve a lasciare la propria terra d’origine, e persino la fase successiva, ovvero il radicamento in una nuova società. È un concerto frastornante che tende a far dimenticare a molti di noi che ogni essere umano ha una intangibile dignità personale e sul piano comunitario e socio-economico rappresenta una ricchezza.
La cosa che continua a colpirmi è che nella categoria “migranti” (condizione senza stabilità, a differenza di “immigrati”) vengono iscritti d’ufficio praticamente solo uomini e donne che provengono dal Sud del mondo: africano, asiatico e latino-americano. Nessuno si sognerebbe mai di definire “migrante” un nordamericano o un saudita o un giapponese o un australiano, quale che siano la sua fede religiosa, la sua competenza, il reddito, il colore della pelle. Invece per i poveri, più o meno colti, con la pelle diversa da quella prevalentemente pallida degli europei la catalogazione è senza scampo: sono e restano “migranti”. Pensateci, pensiamoci. E se siamo cristiani, se siamo cattolici, se siamo laici e abbiamo davvero assimilato i valori comuni della cultura europea e l’umanesimo concreto che ne discende traiamone le conseguenze.
A questo proposito, devo ricordare alla signora Simonetta che contesta vivacemente la critica (non solo mia) del modello assimilazionista francese che questa visione e questa pratica non riguardano l’assimilazione dei valori, dei diritti e dei doveri connessi alla cittadinanza, ma le persone concrete e l’espressione delle loro identità soprattutto religiose. Il diritto di esprimere questa differenza vale infatti solo nella sfera privata, non in quella pubblica e ciò riguarda tutti: cristiani, ebrei, musulmani, buddisti etc. Ma non tutti la patiscono con la stessa intensità e certamente essa è maggiore per i francesi discendenti da immigrati dalle ex colonie nordafricane e spesso in una condizione di vita e di lavoro più marginale e povera (tranne che nello sport e nello spettacolo). L’assimilazionismo, in questo senso (l’unico e non equivoco nel caso francese) è forse l’applicazione più diretta della laïcité che dal 1905 ha introdotto una visione esclusiva (o, meglio, escludente) pur nel contesto di una società civile e politica evoluta come quella d’Oltralpe che garantisce luoghi di culto a tutti, molto differente – per esempio – dal modello di laicità inclusiva delle realtà religiose, a cominciare da quella cattolica ma senza esaurirsi a essa, che caratterizza l’ordinamento italiano e soprattutto la sua società civile (che supplisce incoerenze e inadeguatezze di Stato e altri Enti pubblici). Insomma: in Francia si diventa presto cittadini, ma non si è pienamente e ugualmente riconosciuti e rispettati; in Italia la cittadinanza piena è ritardata e persino ostacolata, ma la nostra società è ancora (per quanto?) più morbida e accogliente. Se gli alberi si riconoscono dai frutti, l’assimilazionismo francese continua a dare frutti amari e spesso amarissimi. Spero di averla aiutata a capire, signora Simonetta, e – visto che non lo sa – le segnalo che è da una vita che mi batto pubblicamente contro sopraffazioni, violenze e illibertà comunque motivate.
Quanto al fatto di non aver, io, mai nominato l’islam a proposito delle inaccettabili violenze da parte di giovani francesi dalla pelle ambrata seguite alla morte violenta di un coetaneo di origini familiari maghrebine, non l’ho nominato esattamente come non ho nominato il cristianesimo riguardo alle inaccettabili violenze di giovani e maturi francesi dalla pelle bianca contro le riforme ambientaliste e previdenziali del presidente Macron e del suo governo.
Al gentile signor Lago, mi limito a rammentare un paio di cose. Solo la «retorica becera» anti-migranti, da lui stesso contestata, promuove l’idea che chi – come molte organizzazioni cattoliche e di altra ispirazione – si batte per una regolazione umana e lungimirante dei flussi migratori in realtà intenda irragionevolmente «portarli tutti qui», in particolar modo dall’Africa. L’intento è invece di sottrarre ai trafficanti di esseri umani il controllo di gran parte dei movimenti di persone su queste direttrici e degli “affari” che esso garantisce a quei banditi, a Stati (e pezzi di Stato) rivieraschi, ai padroni dell’economia “in nero”. L’intento è fare cose giuste e convenienti, per tutti, in modo regolare e secondo umanità. Il futuro richiederebbe la ricostruzione di un’alleanza culturale e di una seria cooperazione economica tra Europa e Africa, nell’interesse dei popoli di entrambi i continenti uniti, assieme al Vicino Oriente, da quel grembo di civiltà, di spiritualità e di benessere che è il Mar Mediterraneo. Per questo ho accolto con speranza l’idea dell’attuale governo italiano di un Piano Mattei per e con l’Africa. Purché non si traduca ancora, da parte nostra, in rapporti economici esclusivamente “estrattivi” con i Paesi africani e in sempre nuove forme di esternalizzazione delle frontiere europee…
Alla sua ultima domanda rispondo come sempre: nessuno è straniero o clandestino sulla terra degli uomini e delle donne e sotto al cielo di Dio e ogni persona deve essere sempre libera di partire o di restare. Come noi italiani sappiamo bene, il bene della propria famiglia, della propria comunità e del proprio Paese si può fare in entrambi i modi.