Video. Con i film e lo sport siamo tutti un po' pirati. E ci auto-assolviamo
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Della qualità del contenuto possiamo anche discutere, ma c’è un dato incontrovertibile: se l’eventuale lettura avvenisse in questo modo nessuno si sentirebbe colpevole. Così come non ritengono di essere responsabili per aver favorito un crimine, commettendo a loro volta un reato, le migliaia di persone che sistematicamente vedono film oppure seguono eventi sportivi approfittando della pirateria nel mercato degli audiovisivi. Il problema di questo fenomeno, le cui dimensioni non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle che riguardano l’informazione, vittima di altre dinamiche che le sottraggono risorse e ne compromettono la sopravvivenza, è l’assenza della percezione di colpa, l’idea che si possa essere complici e responsabili di un reato.
Secondo un’indagine Ipsos diffusa dalla Federazione per la tutela delle Industrie dei contenuti audiovisivi e multimediali, la pirateria su film, serie-tv o eventi sportivi, con quasi 320 milioni di “visioni” illegali di contenuti nel 2023, ha coinvolto il 39% degli adulti italiani, riguarda soprattutto i più giovani, ha fatto perdere 821 milioni di Pil, 377 milioni di entrate fiscali, e oltre 11mila posti di lavoro.
La forma di auto-assoluzione dell’utente è possibile da un lato perché l’ideologia tecnocratica ci ha persuasi che se qualcosa si può fare tecnicamente, allora diventa lecita. Dall’altro perché nella società dell’intrattenimento è sempre più difficile accettare l’idea di non poter essere spettatore di un evento cui si desidera assistere, e anzi, nella patria dei furbi può essere ancora più elitario disporre di tutti i mezzi economici per accedere legalmente all’evento, ma riuscire a farlo senza pagare nulla - si tratti di favori o di pirateria - e poi di farlo anche sapere in giro.
In tutto questo c’è una grandissima responsabilità in carico ai “pirati”, una sicuramente un po’ più piccola, ma non pari a zero, che riguarda gli utenti. Dopodiché si potrebbe ragionare sui prezzi delle offerte che per molte famiglie sono proibitive, sull’incoerenza o l’assurdità di alcune proposte commerciali poco flessibili, sulla necessità di doversi abbonare a più piattaforme per vedere un paio di film decenti ogni tanto e magari qualche incontro sportivo, senza dover pagare anche per i popcorn in formato extralarge o il gadget extralusso. Ovvio che non è un diritto sociale, ma nel Paese in cui i redditi anziché aumentare arretrano, la riflessione può diventare un filino po’ più ampia. Sperando ovviamente che abbiate letto questo articolo senza far torto a nessuno.