Serve una riforma. I brevetti a farmaci fotocopia: l’alt farebbe risparmiare tutti
Il brevetto è uno strumento che protegge la proprietà intellettuale per chi sviluppa una innovazione di qualsiasi tipo. Il brevetto esprime alcuni diritti come l’esclusività nella commercializzazione per un certo numero di anni. Non sempre, tuttavia, il brevetto rappresenta una innovazione come, ad esempio, nel caso dei farmaci. Infatti, l’innovazione significa l’introduzione di nuove modalità di beni, creare un cambiamento positivo nello stato di cose esistenti. In accordo con questo significato, il brevetto di un nuovo farmaco dovrebbe rappresentare qualcosa di meglio rispetto a quanto già disponibile. Se ci occupiamo del diabete, la prima innovazione è la scoperta di un farmaco che abbassa la glicemia e migliora uno o più sintomi o complicazioni.
Se c’è già un farmaco a disposizione, il secondo brevetto per un farmaco analogo deve rappresentare una innovazione e dovrebbe essere dato a un prodotto che è migliore, appunto, dell’esistente. Quindi, se si ha già a disposizione un farmaco antidiabetico, è innovazione solo se un nuovo farmaco è meglio di quello già esistente, oppure, a parità di efficacia, è meno tossico. Il terzo farmaco per essere innovativo dovrebbe essere meglio dei primi due, e così via. In realtà, non è così, perché raramente il brevetto nel caso dei farmaci rappresenta un reale miglioramento, dato che la registrazione del brevetto non richiede alcun confronto. Si potrebbe accettare come innovazione un farmaco che agisce come gli esistenti perché utilizza un meccanismo d’azione differente dall’esistente, ma anche in questo caso dovrebbe il principio valere solo per il primo prodotto. Gli esempi sono molteplici e sono presenti in tutte le classi di farmaci: un primo farmaco che abbassa la pressione è seguito da molti altri, spesso, almeno una decina, che fanno la stessa cosa; un primo farmaco che abbassa il colesterolo è duplicato da molti altri con lo stesso effetto. Un caso recente è un nuovo farmaco antidiabetico che ha la caratteristica non solo di diminuire la glicemia, ma anche di agire sul rischio cardiovascolare dei diabetici (e dei non diabetici).
Il primo farmaco approvato negli Usa è canagliflozin, mentre in Italia è dapagliflozin. Quale dei due è meglio? In realtà, non lo sappiamo perché non sono stati fatti confronti diretti. Come pure per tutte le altre gliflozine, che si stanno sviluppando, non sappiamo se comparativamente alle altre rappresentino una innovazione. Queste gliflozine non possono essere copiate da altri perché hanno attualmente i loro 10 anni di esclusività dovuta al brevetto, anche se non rappresentano una innovazione. Si dice che in ogni caso, se non vi fossero brevetti, non vi sarebbe innovazione e, quindi, non vi sarebbe progresso per la cura delle malattie. Si può discutere quando si tratta di un bene come la salute, ma in ogni caso i farmaci che abbiamo presentato non sono innovazione, ma sono “fotocopia” o come li definiscono gli inglesi “me-too”.
La mancanza di confronti naturalmente facilita il mercato, perché tutti possono dire senza essere smentiti, salvo qualche eccezione, che il loro farmaco è il migliore, mentre se il criterio per la brevettabilità fosse veramente la innovazione, il farmaco migliore renderebbe inutili gli altri farmaci della stessa classe. Il cambiamento della legge sui brevetti non sarebbe necessario per porre rimedio. Basterebbe cambiare i criteri con cui i nuovi farmaci vengono approvati dall’Autorità regolatoria europea (Ema). Come già più volte suggerito, basterebbe che la legislazione europea inserisse, oltre alle caratteristiche di “qualità, efficacia e sicurezza”, anche “valore terapeutico aggiunto”. A livello del Parlamento europeo si sta discutendo di come migliorare la disponibilità e l’esclusività dei nuovi farmaci, ma la lobby farmaceutica ha già posto il veto all’idea che i farmaci debbano essere studiati in modo comparativo. Non vi è dubbio che la attuale situazione gonfi il mercato dei farmaci come se fossero un bene ricreazionale, anziché prodotti che esercitano un profondo impatto sulla nostra salute, ma anche sulle risorse disponibili per la salute.
Infatti, il nostro Prontuario terapeutico nazionale, che include tutti i farmaci rimborsabili da parte del Servizio sanitario nazionale, contiene almeno il 40% di prodotti che potrebbero essere eliminati senza che la salute dei pazienti sia danneggiata, come dimostrato da gruppi internazionali - ad esempio Prescrire International - che fanno ogni anno valutazioni sulla reale innovazione farmacologica. La riforma dell’Aifa potrebbe rappresentare un’importante occasione, anzitutto per una revisione del prontuario, che non si effettua in modo sistematico da ben 30 anni. Dopo la revisione, si potrebbero stabilire nuove regole per fare in modo che non si introducano più di uno-due farmaci per ogni classe terapeutica, il che permetterebbe, attraverso gare di appalto, di ottenere prezzi migliori. Il risparmio globale potrebbe essere di alcuni miliardi di euro. Perché non realizzarlo, visto che è così difficile ottenere nuovi fondi per il Ssn? Migliorerebbe la salute: meno farmaci inutili e più risorse per diminuire le liste d’attesa.
Fondatore e presidente Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs