Opinioni

Coronavirus. Ho vaccinato la mamma e visto un po' di paradiso

Marina Terragni giovedì 4 marzo 2021

Un pezzetto di Paradiso: si può dire così? Mi è sembrato di intravederlo, entrando emozionata nel punto vaccinale Besta-Milano con mia mamma al braccio. Classe 1927, temprata dall’esperienza della Seconda guerra mondiale, dice che oggi è peggio di allora: «Almeno si poteva stare insieme». E parla di quelle cantine e di quei rifugi come ricettacoli di umanità e di vita, di canti e di scherzi. Ecco, magari Paradiso è troppo: diciamo che il punto vaccinale potrebbe ricordare uno scantinato del ’43.

Non si canta, ma quasi. Qualche motto di spirito, quello sì. Eccoli i ragazzi di allora, grandi anziani vestiti per l’occasione. Occhi grati sopra le mascherine, braccia intrecciate a quelle delle figlie e dei figli. Bastoni – per mia mamma uno lilla a disegni psichedelici – qualche girello, qualche carrozzina. Medici, infermieri e volontari – in maggioranza donne – che insieme al farmaco, qualche millilitro di liquido giallino, inoculano buonumore e speranza.

«Quanti anni ha, la bella sciura? ». «Facciamo sul destro o sul sinistro? ». «Signora, mi mangi di più!». Una carezza, un sorriso, omaggio della ditta. Figlie e figli corridori workaholic (maniaci del lavoro), che allineano il passo con quello tremolante e incerto delle madri e dei padri. Sarei così fortunata? mi dico. Cosa sarebbe di me, con il mio unico figlio? Che peso ricadrà sulle sue spalle? Ripenso a un impressionante docufilm di Erik Gandini, 'La teoria svedese dell’amore' (lo trovate online). Nel Grande Nord il legame tra genitori e figli, quando di figli ce ne sono, si taglia molto presto. Il welfare socialdemocratico ha puntato alla liberazione dalle catene familiari, negando ogni dipendenza inter- umana e realizzando un individualismo purissimo.

Nel comune di Stoccolma e di altre città svedesi un ufficio apposito provvede alle pratiche di chiusura-vita dei moltissimi e delle moltissime che dopo avere vissuto soli muoiono ugualmente soli. Altro ricordo, un po’ meno deprimente: una bella signora canadese single che dopo aver scoperto di portare lo stesso cognome di mia madre, e di lì avere ricostruito che i nostri progenitori ( ancestor) erano strettamente imparentati, aveva preso a stalkerarmi ( cuggina!!!) per fare una grande rimpatriata nel paesello delle origini, cercando di convincermi che la famiglia è la cosa che conta più di tutte ( the most important thing in life!). The most important non saprei dire. Certo: il ciclo della critica radicale alla famiglia, da Ronald Laing a David Cooper, sembra avere esaurito la sua spinta. L’unica alternativa che effettivamente ha avuto corso è stata la solitudine, che non si è rivelata una grande alternativa. Tradizionalmente escluso dal modello familiare, il mondo Lgbtq+ preme da tempo per la costruzione di propri nuclei.

Qualcosa vorrà dire. Guardo quelle madri, quei padri, le figlie e i figli, quei volontari allegri nipoti putativi, li ascolto chiacchierare mentre passa il quarto d’ora di sicurezza nell’aula magna dell’Università adibita ad attesa post-vaccino. Mi invade un inconsulto senso di gioia. Perché la mamma è finalmente al sicuro. Ma non solo per quello, credo.