Opinioni

Vi racconto la mia esperienza. Ho 33 anni e sono tetraplegico. Ero «chiuso dentro» ma sentivo tutto

Massimiliano Amolini domenica 15 febbraio 2009
Caro Direttore, dopo aver visto in tivù varie perso­ne con contrastanti pareri, desidero an­ch’io dare il mio modesto e personale pa­rere sul caso Eluana. Mi presento: sono un giovane di 33 anni, abito in provincia di Brescia e sono tetraplegico da 18 an­ni. Una trombosi poi, mi ha tolto l’uso della parola; così sono costretto a letto senza che mi sia concesso un benché mi­nimo movimento che non sia il ruotare il capo e il battito delle ciglia (con cui scel­go le lettere dell’alfabeto scritte su una ta­vola, che chi vuol interloquire con me, mi porge). Sono tracheotomizzato e ag­gredito da una rete di tubi e connessio­ni varie. Queste rendono necessarie mol­te aspirazioni, di giorno e di notte. Inol­tre da qualche tempo, a intervalli di qual­che ora, devo ricorrere all’ossigeno per a­gevolare l’esercizio respiratorio. Come si può considerare la mia condi­zione sanitaria non è rosea. Posso rite­nermi fortunato per il dono della intelli­genza, ma per il resto non sono messo be­ne, al contrario di me (come affermato dalle suore) Eluana godeva di uno stato di salute buono: non aveva bisogno d’es­sere aspirata, non usava antibiotici né al­tri farmaci, e soprattutto respirava auto­nomamente, tanto da poter essere ac­compagnata in giardino dalle suore. A­veva una buona postura da seduta: que­sto significa che i muscoli del dorso la­voravano ottimamente; io viceversa ho bisogno d’essere legato, perché i miei muscoli non lavorano più e cadrei. E­luana quindi non era una «patata», come volevano fare credere, ma una persona di costituzione sana che ha il senso dell’in­telletto addormentato. Il senso dell’in­telletto risiede nella persona quando e­siste un’attività celebrale, il segno di es­sa in Eluana era il sorriso e le lacrime che le rigavano il volto. Solo chi ha creato l’uomo, ossia Dio, può conoscere quanto lei percepisse: il 10%, il 50% o ancor più. Dico tutto ciò sulla base della mia esperienza di stato co­matoso: per chiarire vi racconto un po’ del mio passato. Fino a 18 anni fa ero un ragazzo atletico: altro un metro e no­vanta, alpinista, scatenato come e forse più di tanti miei coetanei. Un tuffo mal riuscito, mentre facevo il bagno nel lago mi ha leso gravemente la colonna verte­brale. Ne seguirono 144 giorni di coma profondo, dal quale mi sono imprevedi­bilmente risvegliato, ma nelle condizio­ni sopra accennate. Il mio coma è chia­mato «sindrome del chiuso dentro», cioè potevo comunicare solo con me stesso, ma dall’esterno si percepiva solo che io ero in coma. Io non conosco la cartella clinica di E­luana, ma se anche lei avesse vissuto la «sindrome del chiuso dentro»? Io ero al 100% sveglio, ne è testimone il fatto che ero perfettamente al corrente della mia situazione clinica; perché i medici ne par­lavano tra loro accanto al letto, pensan­do che io non comprendessi alcunché. Pensiamo un solo attimo, se Eluana ca­piva che la volevano fare morire di fame e di sete, cosa avrà provato? Ora confido nel governo, che si è dichiarato più vol­te a favore della cultura della vita, per­ché fermi definitivamente questa deriva di morte, questo tentativo di introdurre in Italia l’eutanasia. Voglia Dio che falli­sca questa manovra perversa! Ricordia­mo che il Signore ci dice molto chiara­mente: «Con la stessa misura con cui mi­surate, sarà misurato a voi» ( Marco 4: 24). Vi ringrazio e vi saluto cordialmente, Forza, Massimiliano, siamo tutti con te. Davvero ( db)