La ricerca e il pensiero. Stephen Hawking: un lascito cosmico
«Come possiamo comprendere il mondo in cui ci troviamo? Come si comporta l’universo? Qual è la natura della realtà? Che origine ha tutto ciò?».
Con queste parole Stephen Hawking, scomparso ieri all’età di 76 anni, introduceva uno dei suoi libri più famosi, Il Grande Disegno. Sono domande che l’uomo si è posto sin dall’antichità, ma che assumono un valore particolarissimo se provenienti (non possiamo dire pronunciate!) da una persona le cui limitazioni fisiche avrebbero fiaccato la speranza di chi/agora/pagine/morto-stephen-hawking-ha-raccontato-i-buchi-neriunque, relegandolo forse a uno stato semi-vegetativo. Infatti, l’eredità più preziosa che ci lascia lo scienziato inglese, al di là degli importanti contributi alla teoria dei buchi neri e alla cosmologia, è sicuramente quella di aver dimostrato come la speranza e la forza di volontà possono superare limitazioni fisiche estreme, tali da compromettere le normali capacità di comunicazione diretta. Non solo: la precisa volontà di esporsi pubblicamente con tutta la sua fragilità fisica e di partecipare con naturalezza ad attività "normali", come recitare in un film o addirittura sperimentare l’assenza di gravità in un volo parabolico, hanno acuito il suo impatto mediatico, trasformandolo nell’icona universale del cosmologo moderno.
Hawking ha saputo sfruttare al meglio questa sua popolarità e i suoi scritti divulgativi hanno contribuito in maniera determinante nell’avvicinare il pubblico generico a temi complessi come la natura dello spazio e del tempo, o alla fisica estrema dei buchi neri e del cosmo primordiale. Non è importante sapere se i lettori dei suoi best sellers abbiano veramente compreso i concetti della Relatività Generale e della Fisica Quantistica, ma il fatto stesso che la loro curiosità sia stata stimolata a meditare nuovamente, nonostante il frastuono della civiltà attuale, sulle antiche domande esistenziali, è un merito innegabile che dobbiamo riconoscere con gratitudine allo scienziato scomparso.
Hawking è famoso anche per certe sue affermazioni provocatorie: l’incipit del Grande Disegno prosegue così: «Per secoli questi interrogativi sono stati di pertinenza della filosofia, ma la filosofia è morta, (...) così sono stati gli scienziati a raccogliere la fiaccola della conoscenza». Frase molto criticata all’uscita del libro non solo dai filosofi, ma anche da molti scienziati, e mi sono sempre chiesto se essa esprimesse una reale convinzione oppure se in essa prevalesse la volontà di scuotere le coscienze e farle meditare sulla rilevanza fondamentale della cosmologia moderna, troppo spesso trascurata sia dalla filosofia sia dalla teologia. Analogamente mi chiedo se fosse veramente convinto di riuscire a sviluppare la Teoria del Tutto, una visione scientifica globale capace di render conto di tutta la realtà, inclusa la sua origine: «Formulare una completa teoria dell’universo – scriveva nel suo Dal big bang ai buchi neri – sarebbe il più grande trionfo della ragione umana, perché a quel punto conosceremmo la mente di Dio».
Le recenti scoperte della materia oscura e dell’energia oscura presenti nell’universo in misura del 95% del totale, un fatto che relega la nostra conoscenza ad un minuscolo 5% di tutto l’universo, non possono non aver fatto dubitare il grande scienziato sulla reale possibilità di conoscere il Tutto, escludendo a priori che tra le trame del cosmo si nasconda qualche altra entità ancora sconosciuta.
Preferisco onorare la sua memoria pensando che egli abbia voluto richiamare la nostra attenzione, anche con forme provocatorie, sulla necessità impellente che la filosofia e la teologia non ignorino i messaggi provenienti dalla cosmologia attuale, soprattutto dalla evoluzione globale ed unitaria dell’universo. L’interesse che Hawking aveva sviluppato negli ultimi anni sulla possibile esistenza di coscienze aliene è per me un segnale che egli aspirava a un nuovo modello antropologico, più cosmico e meno ancorato a una visione di universo scolastico-aristotelica. Se questo suo ultimo appello verrà raccolto anche da filosofi e teologi, la sua eredità trascenderà l’ambito puramente scientifico.