Opinioni

Guerre e umiliazioni. La logica perversa dello scontro

Pierangelo Sequeri sabato 3 agosto 2024

Quando si innesca la pulsione del risentimento, della vendetta, della distruzione, non è più semplicemente questione di violenza e di costrizione. È la componente dell’umiliazione e dell’avvilimento che fa la differenza e ti distrugge. (Non dire “bestiale”, “mostruosa”, che è un modo di cavarsela: la pulsione umana all’avvilimento dell’altro è “molto” umana, fin “troppo” umana”). Proprio qui sta l’enigma dell’orrore da affrontare: eppure, proprio qui va trovato lo spiraglio della possibilità di venirne a capo.

La volontà di umiliazione può essere sempre ricondotta alla responsabilità di un’intenzione, perché le pulsioni umane non sono mai soltanto biologicamente predisposte: sono sempre culturalmente generate e plasmate, persino eticamente giustificate (non ne abbiamo puntualmente notizia in tutti i telegiornali?). Il disprezzo dell’altro, inoltre, può dare assuefazione: fino ad apparire come una seconda natura, un riflesso di accredito civile, una conferma di lealtà comunitaria. Disprezzare, odiare, perseguitare, anche oltre ogni materiale guadagno, anche oltre ogni legittima difesa, può addirittura assumere i tratti di una identità comunitaria, che si diffonde per contagio e si trasmette alle generazioni. Produce forme di esaltazione collettiva e di soggezione individuale di cui non si è neppure consapevoli. Insomma, una brutta bestia, la nostra passione per l’umiliazione dell’altro: che cresce fin da piccoli con la libertà di esprimersi e di affermarsi: della quale andiamo tanto orgogliosi. Genitori volonterosi sono già pronti ad omologare come test di personalità delle amate creature anche l’insulto, il bullismo, lo stupro. I figli che cercano genitori con la schiena dritta ne trovano sempre meno. I genitori, d’altra parte, non ricevono dalla comunità né il mandato né il sostegno necessario.

Una delle conseguenze più drammatiche – e più odiose – che conseguono la disposizione all’avvilimento dell’altro essere umano, d’altra parte, sta nel fatto che il suo accumulo induce una reazione di uguale segno, di uguale eccesso, di uguale intenzione distruttiva. Come discernere la parte della vittima e quella del carnefice, quando si sovrappongono?

L’ambivalenza ideologica di questo intreccio ti toglie la parola e le forze. Prendete le guerre di cui oggi parlano tutti, che sono guerre di umiliazione (compresa la guerra dei sessi): la complessità del gioco delle parti, che subiscono e restituiscono umiliazione, è tale da darti la sensazione che come parli, sbagli. Però, se rinunciamo a parlarci, l’abisso dell’umiliazione divora tutto e tutti. Bisogna anzitutto riconoscere e anche accettare, senza ingenuità, la contraddizione di questo intreccio. Senza farsene paralizzare. Del resto, proprio la modernità occidentale, che rimproveriamo agli altri di non aver vissuto, è l’incarnazione di questo paradosso: abbiamo inventato la cultura dell’indignazione e della vittima, che ci fa onore; ma abbiamo interiorizzato una cultura della competizione vincente che confina con la prevaricazione e lo hate-speech. Siamo la culla delle libertà civili e anche di quelle incivili. Sta forse qui il nodo della nostra attuale paralisi, della nostra goffaggine, dei nostri imbarazzi di fronte alla impressionante indifferenza per l’avvilimento umano che occupa la scena delle contese internazionali?

La religione, dal canto suo, appare ancora troppo malleabile per sovrani da operetta che ne lucrano vergognose benedizioni. I popoli sarebbero ricchi e disponibili di élites riflessive e generose, che compiono ogni giorno miracoli di compassione per l’umano avvilito. La religione deve portarle in prima fila, facendo un passo indietro. Lasciando al Signore la costruzione del regno di Dio, e rinunciando alla regìa della città dell’uomo. Un terremoto, per la storia vissuta fin qui. Una benedizione per l’epoca che deve venire.

Insomma, è tempo di scegliere rappresentanti decenti, di finirla con il moralismo da tastiera, di togliere credito all’avidità del profitto, di smettere la lagna delle chiese vuote e di adottare lontane comunità di umiliati e offesi.

Le passioni della fede evangelica, che deve restituire l’umano avvilito alla complicità di Dio passano di qui. La società secolare, dal canto suo, dovrà meditare sul fatto che solo Dio può liberarci dalla inclinazione del cuore all’avvilimento dell’altro: la legge e la forza, pur necessarie, non basteranno mai. Ed è tempo di spiegare che chiunque invochi proprio Dio a sostegno dell’umiliazione altrui, a qualsiasi religione appartenga (cominciando dalla nostra) bestemmia lo Spirito. E un’umanità senza Spirito, come quella che è arrivata al comando dell’epoca, è orribile.