Opinioni

Ucraina. Guerra giorno 426: controffensiva o fallimento? Dilemma per Zelensky e Biden

Andrea Lavazza martedì 25 aprile 2023

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

La guerra in Ucraina è giunta al giorno 426. Sono 14 i mesi dall’invasione russa del Paese e comincia oggi a delinearsi uno scenario per i prossimi mesi primaverili ed estivi che agita sia Zelensky e i comandi militari di Kiev, malgrado la situazione sia migliore rispetto all’inizio dell’aggressione, sia le cancellerie occidentali. Il motivo è presto detto e ruota intorno alla ormai fin troppo annunciata controffensiva delle forze ucraine per la riconquista dei territori occupati dalla Federazione, o almeno di una grande parte di essi.

Finora si è detto che l’avvio delle operazioni sia stato ritardato dalle condizioni climatiche – il fango che blocca i cingolati – e dall’attesa per ulteriori forniture di materiale bellico da parte della cinquantina di Paesi che compongono il fronte a sostegno di Kiev. Ma le cose sono più complicate. Il fattore tempo è certamente fondamentale. Ogni giorno che passa le truppe di Mosca possono rafforzare le trincee e gli sbarramenti per reggere l’urto dell’attacco a venire. Inoltre, nei territori conquistati e formalmente annessi alla Federazione prosegue l‘opera di “russificazione”, rendendo più difficile anche la collaborazione dall’interno alla liberazione delle zone di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson.

D’altra parte, sia Zelensky sia Biden sanno che non si può sbagliare, e che potrebbe esserci un solo tentativo da sfruttare, se si deciderà per un’azione su larga scala. Il presidente ucraino deve mettere in conto le reazioni dei suoi alleati a uno scarso successo della controffensiva, un risultato cioè che non ponga in seria difficoltà le forze russe sul campo né porti alla ripresa dei territori persi tra il 2014 e il 2022, senza quindi l’effetto complessivo di indurre il Cremlino a trattare per la fine del conflitto, o perlomeno una tregua, su un piano paritario.

Vista dalla Casa Bianca, l’evoluzione della crisi ha bisogno di un’accelerazione perché con la maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti e l’avvio della campagna elettorale – di cui ora lo stesso Biden fa ufficialmente parte dato l’annuncio della corsa al secondo mandato – il prolungamento della guerra con queste modalità – pochi avanzamenti e grande dispendio di armi – non può essere sostenibile per gli Stati Uniti.

Se la controffensiva non sarà un successo, il presidente entrerà nel mirino dei “falchi”, perché ha esitato a dare tutte le armi che Zelensky ha continuato con insistenza a sollecitare. Ma verrà criticato anche dalle “colombe”, che gli imputeranno l’essersi intestardito ad alimentare un conflitto “per procura” con Putin senza ottenere l’esito sperato e al prezzo di moltissime vite e di una spesa ingente. Per questo, anche se il tempo è vitale sul fronte ucraino come detto in precedenza, si esita a far partire le operazioni in grande stile.

La stessa Europa, di fronte a un fallimento di fatto della reazione di Kiev finanziata e armata dai Paesi Ue (seppure con meno mezzi di quanti promessi), sarà tentata di rallentare il suo sforzo e premerà su Zelensky perché si sieda a un tavolo negoziale al quale avrà poche frecce al suo arco e dovrà necessariamente accettare dolorose concessioni territoriali.

Segnali chiari arrivano con il caso del grano, che sta incrinando persino la granitica e pugnace solidarietà polacca nei confronti di Kiev. Come è noto, i contadini dei Paesi dell’Est del Continente sono in rivolta contro l’arrivo sui loro mercati di prodotti agricoli ucraini a basso prezzo e ora privi di dazi d’importazione per scelta della Ue a favore della disastrata economia di Kiev. I coltivatori si vedono minacciati nei loro già esigui ricavi e stanno facendo fortissime pressioni sui governi affinché questi ultimi blocchino l’ingresso dei prodotti stranieri. Cose che alcuni Stati, a partire da Varsavia e Budapest, stanno facendo. Bruxelles tenta di mediare. La vicenda dimostra quanto difficile sia mantenere un sostegno incondizionato all’Ucraina se non a un costo molto alto e, probabilmente, sul lungo periodo troppo oneroso nella forma attuale.

Ecco che allora torna il dilemma della controffensiva. Lanciarla al più presto per evitare il logoramento dell’Alleanza con il rischio di non avere una seconda chance o procrastinare la situazione di sostanziale stallo in attesa di maggiori rifornimenti e migliori chance di una chiara vittoria sul campo di battaglia? Realisticamente, il tempo non è molto e gli arsenali non si riempiranno tanto di più, vista la lentezza o la riluttanza di fatto di diversi Paesi nell’invio di armi, mezzi e munizioni.

L’accelerazione sugli F-16 proposta dal segretario dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg va nella direzione di rendere le forze ucraine capaci di sostenere anche la battaglia dei cieli, ma ancora una volta non c’è margine per convincere tutti i partner e addestrare in modo soddisfacente i piloti di Kiev.

Nelle more di questa incertezza, si affaccia pure la possibilità di una fuga in avanti di qualche settore dell’esercito o dell’intelligence ucraini, come fatto balenare dal drone lanciato verso Mosca e dalla notizia che Washington avrebbe bloccato piani per attacchi in profondità nel territorio russo. Scatenare un effetto domino sarebbe la (molto pericolosa) strada per coinvolgere ancora di più nel conflitto Usa ed Europa.

Allo stato attuale, le indiscrezioni circa le prime incursioni sulla sponda orientale del fiume Dnepr nella zona di Kherson potrebbero indicare che si scelga per ora una via intermedia. Non il tentativo di un colpo da KO, ma una penetrazione che permetta di cantare vittoria anche con successi limitati ed eviti, in caso negativo, lo spettro del nulla di fatto con le sue conseguenze a cascata.

Da parte sua, il Cremlino sta a guardare. Il fattore tempo gioca a suo favore. Putin sa di non avere la forza per avanzare ulteriormente, ma può consolidare la presa sui territori invasi e giungere a una tacita accettazione della nuova carta geografica nell’affievolirsi del sostegno occidentale al governo ucraino. Uno scenario per ora intricato che non lascia spazio all’ottimismo sulla fine delle ostilità nel cuore dell’Europa.