L'Italia gialloverde e gli altri sovranisti. «Guardarsi dagli amici»
Nel suo Die Wahlverwandtschaften ("Le affinità elettive") pubblicato poco più di due secoli fa, Johann Wolfgang Goethe prendeva spunto dalle proprietà di alcuni elementi chimici di costituire legami privilegiati con certe sostanze piuttosto che con altre. Così come talvolta accade nelle relazioni umane, salvo poi scoprire – come nel romanzo – che quelle affinità erano foriere di sventura. Forse i sovranisti di casa nostra dovrebbero leggere (o rileggere) la vicenda raccontata da Goethe. Potrebbe farli riflettere su quell'apparente e per certi versi virtuosa affinità che li lega a quel quartetto di nazioni che va sotto il nome di Gruppo di Visegrád, cui si è aggiunta recentemente l’Austria del cancelliere Sebastian Kurz e la costola bavarese dei cristiano-sociali tedeschi guidata da Horst Seehofer, ministro degli Interni e grande spina nel fianco di Angela Merkel. Su certi temi i quattro di Visegrád (l’ungherese Orbán, il polacco Morawiecki, lo slovacco Pellegrini e il ceco Babis) viaggiano in buona sintonia con il nuovo governo italiano, in particolare per ciò che concerne la questione dei migranti, capitolo affrontato con speculare ruvidezza e con proclami del tutto simili che convergono in una soluzione virtualmente omogenea: proteggere le frontiere, respingere la massa dei richiedenti asilo, sbarrare la strada ai migranti economici, cambiare le regole che finora l’Unione Europea si è data, soprattutto perché in larga misura le ha disattese lasciando al ventre molle del sud mediterraneo (l’Italia in primo luogo, ma anche la Grecia, la Spagna e misura minore Malta e la Francia) l’ormai ingestibile incombenza di farsene carico.
Certo, se confrontata con l’Europa immaginata dai padri fondatori questa non dichiarata secessione sovranista, euroscettica e sempre più apertamente xenofoba lascia flebili speranze sul futuro e molti dubbi sulla tenuta dell’Unione. La semplice minaccia di chiudere i valichi mina alla base quel grandioso progetto comunitario che fu l’Accordo di Schengen del 1985, che poneva simbolicamente fine alle frontiere che per secoli avevano diviso e insanguinato l’Europa. Ma oggi, con il Gruppo di Visegrád che diserta il summit informale di domenica, in mancanza di un accordo entro la fine del mese fra i Paesi membri della Ue vi è il rischio concreto che il ministro Seehofer ordini di respingere i migranti al confine tedesco, così come l’Austria potrebbe decidere di sigillare il Brennero. E questa sarebbe davvero la fine di Schengen, ma anche di una certa idea di Europa e il conseguente isolamento dell’Italia. Detto in altri termini, proprio quei Paesi che in anni recenti il vento dell’euroscetticismo ha vittoriosamente traghettato in una deriva dai connotati sempre più autoritari e xenofobi (e con i quali molti hanno creduto di scorgere significative affinità elettive) sarebbero quelli che maggiormente finirebbero per ingabbiare l’Italia in un sistema – quello dei cosiddetti "movimenti secondari" – che aumenterebbe a dismisura le domande di asilo a cui Roma dovrebbe far fronte quale Paese di primo approdo di gran parte dei richiedenti asilo.
Una trappola, come si vede, al di là delle vicendevoli simpatie sovraniste, perché gli amici dei nostri amici si possono rapidamente trasformare nei nostri più aggressivi rivali. E dire che le carte sul tavolo sembrerebbero chiarissime: all’Italia preme ridisegnare le regole, ai sovranisti europei pure, ma in maniera ancor più autarchica e improntata al grado zero della solidarietà.
Solidarietà, si noti bene, come recita e reclama il Trattato di Lisbona. Che per alcuni – pensiamo all’Ungheria, che da oggi prevede il carcere per chi aiuta o faccia campagna per migranti o richiedenti asilo – è decisamente lettera morta. Sono davvero questi i nostri amici? Quelli che srotolano chilometri di filo spinato lungo i confini? Sono queste le affinità elettive degli italiani? O c’è ancora un’altra Europa – fino ad oggi colpevolmente assente e attenta quasi soltanto al proprio utile particulare – con cui tentare di risolvere un problema che è di tutti, non solo nostro?