Coronavirus. Guai a dimenticare morti e sacrifici: non abbassiamo la guardia col Covid
Come è giusto e naturale l’invasione russa dell’Ucraina, con il suo carico di morte, disperazione e disorientamento collettivo ha scalzato quasi completamente la pandemia dalle prime pagine dei giornali e dei talk show televisivi. Questo però non fa altro che favorire la distrazione di massa da un virus temibile che continuerà a diffondersi e a fare danni sia nelle zone di guerra che in quelle lontane dalle aree di combattimento. Le immagini che arrivano dall’Ucraina di masse ingenti di persone senza mascherine, stipate in ambienti senza aerazione o in affollatissimi convogli ferroviari in un Paese che ha meno del 40% di soggetti vaccinati è il preludio alla moltiplicazione di casi e, purtroppo, di morti.
Nel resto del mondo i governi hanno crescenti difficoltà a convincere i propri cittadini a non abbassare completamente la guardia: le vaccinazioni stanno rallentando, le cautele vengono progressivamente abbandonate e la spinta a cancellare completamente ogni misura preventiva, a partire dal Green pass, diviene sempre più difficile da contenere.
A nulla serve ricordare che è lo stesso errore già fatto due volte, quello di non capire che l’alternarsi delle ondate epidemiche vede le stagioni primaverile ed estiva caratterizzate da una diminuzione dei casi, frutto delle misure attuate nei mesi precedenti, e che se non si approfitta di questa tregua per prepararsi alla prossima stagione fredda un ritorno epidemico è altamente probabile, con tutto quello che ne consegue in termini di danni sanitari ed economici.
A ricordarci la drammaticità della pandemia rimane l’ormai passivamente accettato esorbitante numero di morti giornaliero, di gran lunga superiore alla maggior parte delle guerre combattute sul pianeta. Il Paese che rappresenta più eloquentemente il patto scellerato tra governo e cittadini è il Regno Unito, dove i cittadini vivono una schizofrenica situazione che li vede, quando sono sani, vivere senza precauzioni, mentre quando si ammalano entrano in un girone infernale caratterizzato da enormi difficoltà a essere assistiti, soprattutto per patologie non Covid. La lista di attesa per i milioni di britannici in attesa di un intervento chirurgico di elezione arriva ormai a dieci anni, il che equivale a lasciar soffrire una parte crescente della popolazione nell’impossibilità di accedere alle cure.
E, dopo l’abbandono di ogni precauzione il 24 febbraio, i casi negli ultimi giorni hanno naturalmente ricominciato a crescere. Ma quello che inquieta di più è quanto stiamo imparando sulle conseguenze a lunga distanza dell’infezione virale, il cosiddetto 'long Covid', definito così in base alla presenza di sintomi nuovi o persistenti dopo quattro o più settimane dall’infezione, una patologia che oggi interessa decine di milioni di persone in tutto il mondo.
Basandosi sulla revisione di 40 precedenti studi condotti in 17 Paesi, i ricercatori dell’Università del Michigan hanno infatti stimato che oltre il 40% dei sopravvissuti al Covid in tutto il mondo abbia avuto o abbia effetti persistenti dopo la malattia. La prevalenza aumenta al 57% tra i sopravvissuti che sono stati ricoverati. Il tasso stimato di sintomi post-infezione è risultato pari al 49% in Asia, 44% in Europa e 30% in Nord America. Tra i sintomi più comuni, l’astenia è stata segnalata dal 23% delle persone, mentre dispnea, dolore articolare e problemi di memoria interessano ognuno il 13% dei soggetti.
Altro dato preoccupante è la ancora scarsa copertura vaccinale dei bambini più piccoli. Non pochi genitori sono ancora convinti che i rischi dei vaccini siano superiori ai benefici e, incoraggiati anche dall’atmosfera attuale dell’«è tutto finito» hanno smesso di vaccinare i propri figli. Invece, soprattutto per le ultime varianti, la prevalenza di questa condizione arriva quasi al 10% dei bambini, come documentato dall’Istituto superiore di sanità. Uno studio condotto dai pediatri del Policlinico Gemelli ha verificato che il 35,7% dei bambini da loro curati per Covid mostrava persistenza di uno-due sintomi e il 22,5% di 3 o più sintomi. Tra i sintomi di long Covid più frequenti l’insonnia, la persistenza di sintomi respiratori, la congestione nasale, l’affaticamento, i dolori artromuscolari e la difficoltà di concentrazione.
Ancora più inquietanti i risultati di uno studio dei cardiologi italiani che ha mostrato la vulnerabilità a problemi cardio-vascolari in soggetti adulti che avevano avuto una forma blanda di malattia. D’altra parte, il Covid rappresenta ormai in Italia la terza causa di morte e l’attitudine a trattarla come un’influenza, proposta da alcuni, può avere gravissime conseguenze sulla mortalità nella popolazione italiana. Che fare quindi? È necessario continuare a prendere decisioni, individuali e collettive, basate sull’evidenza scientifica e a non illudersi che sia tutto finito, perché questo atteggiamento ha il solo risultato di avvantaggiare i virus e favorirne la diffusione. Bisogna utilizzare i mesi caldi per prepararsi a evitare il ritorno autunnale della pandemia.
Continuare a rafforzare il nostro sistema sanitario, potenziare logisticamente e tecnologicamente le nostre scuole e i trasporti pubblici. Incrementare i sistemi di testing e tracciamento. Prepararsi a rivaccinare masse importanti di popolazione, a partire dai più fragili per età o fattori di rischio. Viviamo in un mondo diverso e più pericoloso rispetto al 2019, nell’affrontare una sfida serissima contro la violenza aggressiva di un despota, non dimentichiamoci di un virus che ha già ucciso milioni di persone. Purtroppo si tratta di vere e proprie guerre, e nessuna delle due va sottovalutata da chi vuole ricostruire una pace giusta.