Forse è esagerato dire, come fa il giornale
Ta Nea, che la Grecia è un Paese «senza governo», ma è certo che l’esecutivo capeggiato da Costas Karamanlis è stato incapace di assicurare «legge e ordine» non soltanto ad Atene, ma anche in zone periferiche, quali Salonicco, Creta, Corfù, Ioannina, là dove è più forte la presenza degli anarco-insurrezionalisti imputati delle violenze seguite all’uccisione da parte della polizia, sabato scorso, dello studente quindicenne Alexandros Grigoropulos. Il quale non era un anarchico, non era un sottoproletario, e neppure abitava ad Exarchia, il rione a ridosso del Politecnico famoso prima per la resistenza ai colonnelli (culminata nella strage di studenti del novembre 1973), poi per l’uccisione nel 1995, sempre da parte di un agente, di un altro quindicenne, Michalis Kaltezas, e poi, via via degradando, per lo spaccio di droga e le prepotenze delle bande che a più riprese hanno provocato le inutili proteste dei residenti contro l’ignavia del governo. Anzi, dei governi, perché la debolezza delle forze dell’ordine si è manifestata sia sotto Nuova Democrazia (il partito di centrodestra che guida la Grecia dal 2004) sia sotto il socialista Pasok, il partito di opposizione capeggiato da quel George Papandreu che ieri ha chiesto a Karamanlis di dimettersi e di convocare elezioni anticipate. Il guaio è che un rilevante rovesciamento dei rapporti di forza fra destra e sinistra appare improbabile, anche perché il Pasok è dilaniato da divisioni interne, mentre gli estremisti di Syriza e i comunisti del Kke continuano ad esser preda delle storiche malattie del massimalismo, del sospetto e del complesso di persecuzione. Ieri, per esempio, dirigenti del Kke, dopo aver invitato i lavoratori a organizzarsi in «gruppi militanti», hanno accusato i giovani estremisti responsabili dei disordini di essere strumenti dei «corpi segreti dello Stato». Un’accusa non nuova, quest’ultima, e forse non del tutto infondata, ma che è frutto di un’analisi parziale, che non vede o finge di non vedere ciò che dovrebbe essere evidente, e che cioè l’uccisione di Grigoropulos non è un caso da addebitare semplicemente ai servizi segreti (ammesso che questi c’entrino veramente), ma è il detonatore di un’esplosione di collera nazionale, giovanile e non soltanto giovanile, che covava da tempo, annunciata da anni di incidenti, di scontri fra polizia e anarchici e pseudo-anarchici, di scandali finanziari e di mene politiche clientelari, nella crescente sfiducia dei cittadini verso i partiti tradizionali. Al malessere di fondo si sono sommate la crisi economica che morde il Paese dopo quasi un decennio di crescita (attorno al cinque per cento annuo), il calo accelerato dell’occupazione, la destabilizzazione del bilancio dello Stato provocata dagli investimenti per le Olimpiadi (la spesa iniziale, prevista di quattro miliardi di euro, alla fine è più che raddoppiata!), l’impoverimento dei dipendenti pubblici e specialmente degli insegnanti, una riforma universitaria molto discussa. Insomma, il Paese non è «in mano agli anarchici» (come ha scritto l’
Elefteros Typos), anche se è desiderabile la neutralizzazione di quelle frange sovversive che si sono fatte una fama internazionale, come la Brigata Giuliani nata dopo la morte a Genova di Carlo Giuliani nel 2001. Ma certamente urge un’azione politica che sappia spegnere l’incendio attuale e preparare un futuro migliore. Oggi, giornata della manifestazione di massa convocata dai sindacati, il governo Karamanlis è atteso alla prima, delicatissima prova.