Opinioni

Ambiente. Grazie all'«agricoltura verticale» la terra promette cibo per tutti

Gianluca Schinaia giovedì 25 agosto 2022

La tecnologia (in rapida evoluzione) delle colture «a cassetti» consente di moltiplicare il rendimento delle risorse e di ridurre il consumo di acqua. A costi decrescenti. Nella foto Un impianto di agricoltura verticale dell’azienda milanese Ono Exponential Farming

La contemporaneità, che schiude progetti fantascientifici, come quelli del Metaverso o dei droidi a domicilio, ha riportato al centro dell’agenda globale la preoccupazione più ancestrale dell’umanità: alimentarsi a sufficienza. Non solo quanto cibo avremo ma anche come verrà prodotto, dati gli effetti dei cambiamenti climatici. Così, con il contributo di suggestioni antichissime come i giardini pensili di Babilonia e soprattutto di tecnologie moderne come l’intelligenza artificiale, nascono le fattorie verticali. Un’innovazione che risponde a diverse esigenze: in primis risparmiare acqua e suolo, che saranno beni sempre più scarsi in futuro. «Per dare un’idea, si possono ricavare in un anno 72mila piante su metro quadro contro le 3 che si producono tramite l’agricoltura tradizionale, quella orizzontale – spiega Thomas Ambrosi, ad di Ono Exponential Farming, uno dei principali player italiani nel settore delle fattorie verticali –. Con il vertical farming (agricoltura verticale, ndr) si ottiene un uso quasi azzerato dell’acqua (95% in meno) e del suolo (98% in meno)». Non male, considerando che l’irrigazione per motivi agricoli è uno degli impieghi più impattanti sulla disponibilità idrica planetaria (70%) e che il 40% del suolo globale è usato per le coltivazioni.

I cambiamenti climatici minacciano l’agricoltura tradizionale: basti solo pensare alla recente siccità che ha colpito il Nord Italia. C’è e ci sarà sempre più bisogno di cibo: una consapevolezza che riesce perfino a superare le trincee della guerra in atto, come visto con gli accordi sul grano ucraino siglati a Istanbul. Ma a prescindere dalla crisi attuale la preoccupazione di sfamare le persone non è un retaggio del passato quanto uno tra i primi obiettivi del nostro futuro. Immaginate che entro il 2050 la popolazione mondiale avrà bisogno del 50% in più di cibo rispetto all’ultimo mezzo secolo e che nel 2100 potrebbe toccare gli 11 miliardi di individui. Così nei prossimi decenni il costo del cibo sarà più alto, l’acqua dolce sempre meno disponibile e al contempo l’enorme crescita dell’urbanizzazione porterà le persone lontano dai centri tradizionali di produzione alimentare.

I cambiamenti climatici in corso minacciano le attività agricole, mentre cresce la domanda di prodotti su scala globale. Le risposte del «vertical farming»

Da queste considerazioni nasce il vertical farming. Come immaginare una fattoria verticale? All’interno di edifici, sviluppata in altezza e basata sull’uso automatizzato di luci, irrigazione e forza lavoro. L’obiettivo è produrre coltivazioni di altissima qualità (perfino superiori a quelle biologiche), tarate su esigenze specifiche. E senza ricorrere a nessun tipo di alterazione genetica: solo scegliendo nutrienti, condizioni ambientali ed esposizione alla luce. Dal 2004 negli Stati Uniti è nato un mercato enorme intorno al vertical farming, oggi diviso tra Nord America ed Europa. Ma i tassi di crescita delle fattorie verticali guardano oltre gli Usa, verso Cina, Canada, Germania e Giappone. Nel 2020 il giro d’affari mondiale del vertical farming era stimato in circa 5,5 miliardi di dollari: nel 2027 dovrebbe valere oltre 22,5 miliardi. E se si pensa a coltivazioni diverse nelle vertical farms a «piante prodotte in ambito farmaceutico, quindi terapeutico, cosmetico, nutraceutico e tutte le attività che riguardano la salute dell’uomo, il business globale è stimato in circa 470 miliardi di euro» chiarisce Ambrosi. È in queste aree di coltivazione che sta diversificando Ono, ed è qui che guarda anche Planet Farms: «Pensiamo a prodotti come cacao, vaniglia, cotone, fragola: quello che abbiamo già verificato è che c’è la possibilità di una grande risposta a domande che arrivano sulla sostenibilità, spinta dalla crescita dell’interesse verso l’ambito Esg» (Environmental, Social, Governance) racconta Daniele Benatoff, cofondatore di Planet Farms. Quest’ultima, che ha creato la più grande fattoria verticale d’Europa a Cavenago, è l’azienda italiana del settore che ha raccolto più finanziamenti per lo sviluppo della propria attività: a oggi, circa 50 milioni di euro. Sul futuro del vertical farmingBenatoff non ha dubbi: «Oggi è un mercato che è indiscutibile che esista, possa funzionare e sia necessario».

Se la cifra raccolta da Planet Farms sembra altissima, bisogna pensare che tra le aziende del segmento alcune perdono decine di milioni di dollari l’anno. Perché? Il prezzo al consumatore di questi prodotti è ancora alto, anche se è destinato a calare in futuro. Al momento, nel mondo del vertical farming ci sono due strade. La prima è quella classica, intrapresa dalle corporations americane che hanno tanti capitali e costruiscono giga-farms molto impegnative, con costi gestionali enormi. Oppure c’è quella delle aziende europee, che hanno più difficoltà nel fund raising e devono aguzzare l’ingegno. In questo percorso la differenza la farà la tecnologia. Ono ha la sua proposta, come spiega Ambrosi: «Abbiamo inventato un sistema diverso da quello a scaffali, il più noto nel settore, in cui c’è un modello fisso di disposizione dei vassoi dove sono coltivate le piante. Il nostro, invece, permette dei posizionamenti degli scaffali più vicini tra loro, ogni 5 centimetri». Quindi si massimizza l’uso di acqua, luce e spazio grazie all’innovazione tecnologica. E poi, invece di puntare su grandi strutture, Ono cerca di fare rete: «Se hai una farm piccola, e dover acquistare un robot diventa proibitivo, noi consentiamo la condivisione di risorse. Così si permette anche a chi ha a disposizione un investimento minimo di entrare nel mercato». L’altro protagonista in Italia, Planet Farms, ha puntato sulle grandi strutture ma adottando un cammino più prudente rispetto a competitor stranieri: «Siamo stati molto più silenziosi e cauti nella fase iniziale. Per prima cosa abbiamo sviluppato il laboratorio di ricerca e sviluppo a Cinisello Balsamo. Solo una volta pronti abbiamo creato la farm di Cavenago, e solo quando siamo arrivati quasi alla sua saturazione abbiamo progettato un nuovo stabilimento di dimensioni doppie, che nascerà tra Milano e Como».

Vicino a Milano la «farm» più grande d’Europa. «Rispondiamo a un’esigenza crescente di sostenibilità». E la domanda spinge la creatività

La terra sarà sempre la culla della nostra agricoltura: la situazione attuale ci impone però di ottimizzare rapidamente il modo in cui le nostre derrate alimentari sono prodotte per risparmiare acqua, energia e suolo. Il vertical farming è una risposta tecnologica importante, anche se a livello produttivo al momento è assolutamente inadatta a sostituire quantitativamente le produzioni “orizzontali”. Ma le potenzialità delle fattorie verticali stanno anche nel recupero di strutture dismesse, in nuove possibilità occupazionali, nell’approvvigionare a chilometro zero zone bisognose. Il problema oggi è ancora il prezzo dei singoli prodotti, più alto di quelli tradizionali. «È sempre facile essere severi con le aziende che fanno innovazione – conclude Benatoff –: pensiamo alle critiche arrivate inizialmente a Tesla. E oggi abbiamo auto Tesla che rispondono alle esigenze del consumatore con un prezzo anche inferiore ai 40mila dollari». Si potrebbe fare lo stesso discorso per il prezzo dei televisori o dei telefonini. Nel caso del vertical farming parliamo di cibo, e si tratta di una necessità primaria. Nel mondo ci sono ancora 800 milioni di persone che soffrono la fame, e presto dovremo provvedere alle esigenze alimentari di molti altri individui. La soluzione tecnologica del l’agricoltura verticale vincerà la sua scommessa se riuscirà progressivamente a presentare prodotti con costi concorrenziali. Visto il riferimento alle automobili, pensiamo a una delle massime più famose di Henry Ford: «C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti».