Solitudine come malattia / 4. Gratitudine, ascolto, curiosità per non restare soli
In vari Paesi del mondo (dall’Inghilterra agli Stati Uniti alla Danimarca) in questi anni si sono sviluppate campagne per incrementare la sensibilità individuale e collettiva riguardo alla solitudine, perché da fattore di sofferenza del singolo e delle comunità diventi un diffuso punto di attenzione. Diverse sono state le modalità di approccio, che vanno dall’intervento personale alle terapie di gruppo, nel corso delle quali l’individuo è indotto non solo ad aprirsi per ricevere un aiuto, ma anche a diventare capace di offrire a sua volta supporto. Le diverse metodologie non si sono dimostrate l’una superiore alle altre; diversissime sono le storie individuali, le esperienze, i supporti ricevuti, gli abbandoni. Nessuno vuole vivere da solo, ma spesso si trova in bilico su un confine pericoloso, lungo il quale non riesce a compiere scelte precise. Talvolta, addirittura rinforza la propria condizione di distacco e di solitudine. Gli interventi educativi sono ancora poco diffusi e riservati a situazioni caratterizzate da una forte motivazione e dalla precisa sensazione di poterne trarre vantaggio per la vita futura. L’area è ancora aperta a studi e approfondimenti seri e metodologicamente corretti; nell'attesa, l’atteggiamento di apertura e generosità del singolo verso il proprio vicino, parente, amico rappresenta l’unico approccio che abbia indiscutibilmente dimostrato una potenziale efficacia.
Vi sono situazioni particolari, molto delicate che meritano forte attenzione. Si pensi alla coppia caregiver- malato di demenza, condizione nella quale un legame forte può trasformarsi in una trappola se non è accompagnato e lenito da affetti, vicinanze, impegni di supporto. Chi chiude il proprio raggio vitale solo al rapporto con un altro, che non potrebbe farne a meno, ha diritto di essere accompagnato, capito, aiutato, perché svolge una funzione insostituibile verso chi è bisognoso. In questi casi si costruisce una catena umanissima di aiuto, con il risultato finale di realizzare comunità fondate su reti di empatia viva. Vincere la solitudine della coppia caregiver-persona da assistere costruisce un inizio di dinamiche che si possono moltiplicare, senza grandi progetti, ma con l’impegno di ogni giorno ad aiutare chi è solo, attraverso l’ascolto, l’aiuto concreto (si pensi ad azioni piccole ma di grande efficacia, come preparare un pasto caldo per chi non ha tempo di dedicarsi alla cucina, come spesso avviene nel caso di persone completamente dedite alla cura del proprio caro colpito da una demenza), il sostituirsi per qualche ora, permettendo all’altro di riallacciare relazioni soffocate dalla mancanza di tempo. Spesso questo aiuto non viene chiesto, perché nemmeno pensato da chi è tutto dedito alla cura, chiuso in una sofferenza indicibile. Esistono centinaia di decaloghi per indurre a combattere la solitudine; alcuni ridicoli, altri banali, altri ancora inutili. Invece dei decaloghi, vi sono alcuni atteggiamenti che più di altri portano a ridurre lo spazio della solitudine. Non sono formule magiche, perché la donna e l’uomo non vivono di magia, ma di un impegno severo e sereno per tutti i giorni. Ecco questi atteggiamenti positivi.
Gratitudine. È l’attitudine di chi riconosce che ciò che si è ottenuto non lo è stato solo per i propri meriti, ma anche per la benevolenza altrui, anche se è difficile ammetterlo a causa dell’orgoglio. La gratitudine è andare incontro, rico- noscendosi debitori, camminare verso l’altro per intrecciare un abbraccio. Per combattere la solitudine è necessario esprimere questo sentimento anche quando può essere faticoso per l’ipertrofia dell’io; se l’altro percepisce una naturale, reale disposizione alla gratitudine sarà più facile costruire efficaci momenti di relazione.
Felicità. Qual è la felicità che cerchiamo e come, da questa ricerca possiamo arrivare a sistemi di relazioni sociali che corrispondano alle nostre più autentiche esigenze? È una felicità generosa, aperta agli altri, che trova nella comunità il modo migliore per esprimersi, perché così riceve risposte adeguate. Una felicità assoluta, slegata da relazioni, è il patrimonio di qualche santo che vive il sentimento in relazione con il Signore; tutti noi, invece, abbiamo bisogno della felicità indotta dal donare, anche se talvolta il nostro gesto non riceve compensi adeguati.
Ascolto. Viviamo troppo spesso parlando di noi, svilendo l’ascolto dell’altro. Viviamo come se fossimo soli nell’universo. Il non essere ascoltati crea risentimento negli altri, che chiudono orecchie e cuori. La solitudine modifica le risposte all’ambiente umano circostante, il più delle volte aumentando la negatività e l’aggressività e quindi riducendo la possibilità di creare assieme qualche cosa di rilevante per tutti. È un circolo vizioso, che si può rompere imponendosi l’ascolto, per comprendere il punto di vista degli altri; ma se si sente il dovere dell’ascolto significa che gran parte del percorso verso la relazione è già stato compiuto e la solitudine sconfitta.
Curiosità. È ritenuta una dote ambivalente, ma ha il grande pregio di costringere a guardare dentro nella vita degli altri, in modo da identificare gli spazi sui quali impostare una relazione. Mediamente chi è curioso non è mai solo, perché comprende dove può avvenire l’incontro tra la propria vita, aspirazioni, attese, speranze e quelle dell’altro. Possono essere possibili incomprensioni e chiusure, ma non giustificano una scelta generale. La curiosità come premessa per costruire rapporti deve essere un atteggiamento stabile nella vita, in qualsiasi condizione; quando l’individuo va in palestra, ad esempio, gli esercizi fisici dovrebbero essere altrettanto importanti che l’attenzione ai vicini, per comprenderne attitudini e attese, desideri di relazione o chiusure. La curiosità è strutturale alla persona intelligente; solo uno stato depressivo può tarparla e farla sembrare inutile.
Rinuncia ad atteggiamenti individualistici. L’attenzione, sempre più diffusa negli ultimi anni, verso fitness, atteggiamenti di autocura, preoccupazioni alimentari, in generale verso particolari atteggiamenti salutisti, polarizza l’attenzione su fatti personali; sono vissuti come atti che dovrebbero garantire la salute in maniera distaccata da quella degli altri. Sono talvolta il frutto di frustrazioni egocentriche che si approfondiscono nel tempo e impediscono rapporti aperti e generosi. Ogni persona è libera di scegliere propri modelli di vita, gestendone le conseguenze; non può però essere trascurato che tra queste ultime vi sono incomprensioni che rallentano la relazione con altri.
Gentilezza. Tutte le caratteristiche indicate sopra hanno un denominatore comune per essere esercitate; è una dote dell’animo che caratterizza la scelta di fondo di porsi davanti all’altro con la volontà di ascoltare ed essere ascoltati senza prevaricazione, insistenza, desiderio di potere. Chi è gentile è sempre attento a come l’altro si avvicina e pronto a modificare il proprio atteggiamento per farsi accettare, compiendo piccoli atti che assumono grande importanza quando l’altro è solo. Chi è gentile potrà talvolta essere incompreso e dolersene, però il suo atteggiamento contribuisce sempre ad aprire strade per la relazione che allontana la solitudine. In alcuni casi la gentilezza è premessa per la dolcezza, modo di essere che, ad esempio nella famiglia, permette di continuare nel tempo rapporti di affetto che aiutano anche a superare le crisi.
Associazione Italiana di Psicogeriatria
(4 - fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 15 marzo, il 2 e 19 aprile anche sul sito avvenire.it)