Ambiente. Grandi boschi e parchi urbani. Così le città europee si fanno verdi
Una veduta della città di Essen, in Germania
La nuova circonvallazione di Madrid sarà un bosco, un’enorme ciambella verde per contenere e ordinare l’espansione della città nel territorio circostante e per salvarla dall’inquinamento che la affligge: uno studio pubblicato da 'The Lancet' nel gennaio 2021 ha indicato che è ai primi posti in Europa, al pari di molte città padane, per inquinamento da diossido di azoto e polveri sottili. Nella capitale spagnola si è da poco concluso il concorso indetto per stabilire come progettare questa nuova infrastruttura che per 75 chilometri di lunghezza abbraccerà il suo perimetro.
Collegherà i diversi parchi periferici esistenti generando continuità boschiva in un territorio oggi attraversato dalle propaggini distese attorno al nucleo urbano storico su direttrici lungo le quali si allineano i quartieri periferici sorti nei recenti decenni. La giuria del concorso, su 33 studi di architettura partecipanti ha selezionato cinque vincitori, uno per ciascuna delle aree in cui è suddiviso l’anello boschivo. Ci saranno campi per l’osservazione ornitologica, sentieri per favorire l’escursionismo, centri sportivi, terreni eco-agricoli, le zone industriali saranno sostituite da boschi, si completerà la sistemazione a parco degli argini dei fiumi Manzanares e Jarama. Tutto l’anello sarà percorso da una pista ciclopedonale.
Nulla di particolarmente nuovo, si potrebbe dire: non v’è città europea che non cerchi di aumentare le superfici piantumate. La particolarità della capitale spagnola sta nella differenza di tempi e misura del suo sviluppo rispetto alle altre metropoli. A metà degli anni ’80 quando altrove, come in molte città tedesche, già era in atto la deindustrializzazione e il ridisegno urbano per ridurre l’inquinamento, ancora Madrid aveva poco più di tre milioni di abitanti, nelle sue strade circolavano poche auto, in prevalenza taxi, e per recarsi nelle cittadine della cintura, come Pozuelo de Alarcon o Majadahonda bisognava attraversare la campagna con bus extraurbani che passavano solo di quando in quando.
All’inizio del nuovo millennio quelle cittadine sono diventate quartieri periferici raccordati dalla vasta rete di trasporti metropolitani che attraversano in lungo e in largo tutta la regione e, alla circonvallazione chiamata M30 che, realizzata nel 1974 e lunga una trentina di chilometri abbracciava l’area urbana della prima metà del ’900, si sono sommate le progressivamente più ampie M40 alla fine degli anni ’90 e la più recente M50 che segnano il procedere dell’estensione urbana, come in dendrocronologia i cerchi ravvisabili nella sezione di un tronco indicano la crescita dell’albero. Nei primi tre decenni da quando è cominciata la democrazia post franchista la città si è ampliata in misura paragonabile a quanto era avvenuto in tutti i secoli precedenti: un fenomeno simile a quel che le altre metropoli europee avevano conosciuto nel secondo dopoguerra. Oggi la sua area metropolitana ha una popolazione superiore ai sette milioni e continua a crescere, tra l’altro perché da quando le pretese indipendentiste in Catalogna hanno assunto una piega particolarmente virulenta a partire dal referendum anticostituzionale indetto nell’ottobre 2017, le oltre 5 mila aziende scappate da quella regione in prevalenza si sono trasferite nella capitale.
Ma tanto tardiva, repentina e imponente è stata la sua espansione rispetto alle altre metropoli europee, quanto rapida e ampia promette di essere la realizzazione di questo anello boschivo, la cui realizzazione richiederà 12 anni e un investimento di 77 milioni di euro. E significativo è che sia definito “infrastruttura urbana” come un tempo si chiamavano solo le strade, gli autobus o altri impianti di servizio: a indicare come la natura oggi sia frutto di progetto e sia quanto caratterizza gli spazi urbani ormai saturi di meccanizzazione, cementificazione e inquinamento.
Certo operazioni simili, seppure non sempre così impattanti per dimensioni, da tempo sono attuate in altre città: è questo il modello di sviluppo promosso dall’Unione Europea che all’uopo ha deciso di istituire il premio “Capitale verde europea” per segnalare come esempio da imitare una città di almeno 100mila abitanti che abbia raggiunto significativi obiettivi in termini di tutela ambientale e sviluppo sostenibile. Il premio dal 2010 viene assegnato ogni anno, la prima vincitrice è stata Stoccolma e sono seguite Amburgo, Vitoria, Nantes, Copenaghen, Bristol, ecc. Nel 2021 è stata scelta la finlandese Lahti. Di particolare significato è che nel 2017 toccò a Essen, città nel cuore della Ruhr, la regione più densamente industriale dell’Europa, sede dalle acciaierie Krupp e di miniere di carbone. L’ultima di queste fu chiusa nel 1986 e da allora Essen ha intrapreso la via del settore terziario e deciso di porre, al posto delle miniere e delle fabbriche, una serie di corridoi “verdi e blu”: parchi e corsi d’acqua. La Krupp vi ha mantenuto solo la sua centrale amministrativa e ha tra- sformato gli impianti industriali in un parco con colline e corsi d’acqua.
Molto rilevante è stata l’opera di sistemazione del bacino del fiume Emscher che attraversa Essen e raccoglieva i reflui di tutta la regione circostante. Dagli anni ’80 vi è stato realizzato il più grande progetto di controllo delle acque del continente: ha interessato un bacino di 800 km quadrati che, finanziato con 4,5 miliardi di euro, ha implicato anche la costruzione di una rete fognaria lunga 350 chilometri per il controllo delle acque sporche. Contenuto così l’inquinamento, s’è promossa la biodiversità e sono sorti spazi ricreativi e nuclei abitati attorniati da spazi per attività sportive e agricole. Le ferrovie che servivano le miniere sono state trasformate in percorsi ciclopedonali. Niente a che vedere con le città italiane ex industriali, dove ancora oggi i progetti di riconversione favoriscono gli investimenti immobiliari.
È l’inversione di quanto è stato fatto con l’industrializzazione. Ma anche l’ambiente naturale ricreato dove c’erano gli impianti industriali è totalmente progettato e costruito. Non solo nel disegno: le specie vegetali sono selezionate in funzione della resa estetica e capacità di purificare l’aria. Così la Ruhr, da fabbrica del carbone e dell’acciaio – i due elementi che hanno trainato l’economia dell’Europa postbellica – è diventata fabbrica di un ambiente ridente. Si ricorderà che la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), fondata a Parigi nel 1951, è stato il primo nucleo dell’Unione Europea, il cui successivo e più importante atto è stato il Trattato siglato a Roma nel 1957.
Oggi l’Europa si sta rifondando su direttrici ecologiche. Per questo risalta che finora nessuna città italiana sia stata ritenuta degna di essere nominata “capitale verde” e che qui i tassi di inquinamento, soprattutto nella valle Padana, siano ai vertici del continente. Perché solo il giorno in cui anche le grandi città italiane si saranno poste sulla strada della trasformazione “verde e blu” come Essen e la Ruhr, o della disposizione di imponenti cinture boschive come Madrid, si potrà dire che l’Europa nel suo complesso avrà imboccato una nuova strada: meno trafficata e rumorosa di quella seguita sinora, ma più abitabile e vivibile.