Qualcuno – magari a mezza voce – potrebbe ricordare il celebre detto: «
It’s the economy, stupid!». Già, questa è l’economia. Dinanzi a contratti per miliardi di dollari,
la verità sul brutale assassinio di Giulio Regeni sembra divenire meno impellente, e anzi un fastidioso intoppo che vale la pena ignorare. O peggio, per sovrappiù di cinismo, da sfruttare. L’indignazione che monta in Italia per le plateali, smaccate bugie del regime egiziano – e che può portare a un congelamento dei rapporti bilaterali fra i due Paesi – sembra offrire ai nostri vicini europei ulteriori spazi per cercare di strapparci vantaggiose commesse economiche.È orribile pensarlo? No, è orribile comportarsi in questo modo, nascosti dietro la retorica della solidarietà europea. L’atteggiamento in questi anni di Francia e Gran Bretagna nella vicina Libia del dopo-Gheddafi è abbastanza illuminante: la voglia di "togliere" agli italiani la posizione economica predominante che avevamo in quel Paese, ha portato a una divaricazione delle politiche europee che è fra le cause del disastro attuale. Questo si vede bene da Roma, ma anche da più lontano. Tant’è che anche per il
New York Times, il silenzio di François Hollande sul «caso Regeni» è vergognoso. Soprattutto visto che nei prossimi giorni il presidente francese andrà in Egitto come piazzista di armi, nonostante una risoluzione del Parlamento europeo preveda il congelamento di ogni fornitura militare. E stride anche che la Germania organizzi proprio in questi giorni grandi visite economiche sulle rive del Nilo con esponenti governativi e del mondo industriale. Davvero, l’idea che ancora una volta si ha della "solidarietà europea" è che siano semplici formule burocratiche dal sapore stantio, ma gravemente scollegate dalla realtà politica di un continente sfilacciato, in cui le rivalità geopolitiche e geoeconomiche vincono su ogni tentativo comune. Nonostante i tentativi messi in atto dal Servizio per l’azione esterna dell’Unione Europea (Seae) e dall’Europarlamento. Quest’ultimo, con una decisione non scontata, ha invitato a Strasburgo i genitori di Regeni: un gesto forte che purtroppo non sembra trovare grandi riscontri nelle cancellerie dei Ventotto.In realtà, il problema supera il semplice dramma della morte crudele di un giovane ricercatore, torturato e ucciso quasi sicuramente per mano di uomini delle forze di sicurezza egiziane. Ma investe il senso di impunità di un presidente-dittatore che ha imboccato – con tracotanza – la strada scivolosa di una repressione indiscriminata.Dopo il totale fallimento della breve esperienza di governo islamista dei Fratelli Musulmani, al-Sisi aveva dalla sua parte un forte consenso interno e internazionale, sembrando l’unico argine contro la deriva polarizzante della società rappresentata da un islam politico e illiberale e contro il dilagare jihadista. Ma come altri autocrati prima di lui, anche al-Sisi ha usato spregiudicatamente la lotta contro l’islamismo violento per liberarsi di ogni oppositore; spesso con metodi altrettanto brutali e con l’uso sistematico della tortura.In passato, l’Occidente ha fatto per decenni finta di non vedere queste dinamiche, in nome della stabilità politica e degli affari. E vediamo oggi, nel quotidiano scempio delle popolazioni mediorientali, quanto questa politica non abbia in realtà pagato nel lungo termine. Il messaggio che deve arrivare oggi ai vertici politici egiziani è che il nostro appoggio all’Egitto - un Paese che rimane uno dei perni regionali per garantire la stabilità - non può essere cieco dinanzi alle sempre crescenti violazioni dei diritti umani. Non solo verso gli occidentali - considerati "specie protetta" - ma verso tutti i "normali" cittadini egiziani. E questo per il bene stesso del governo al-Sisi. Se i nostri partner europei riterranno che questo sia solo un problema italiano, e che gli affari sono più importanti di ogni altra considerazione, sceglieranno una via molto pericolosa. Prima di tutto per l’immagine dell’Europa quale «esportatore di norme e di valori», come si ama sovente ricordare. Poi, per l’idea di solidarietà fra membri dell’Unione, oggi scalfita da derive populiste. Possibile che ancora non si riesca a capire che è necessario piangere e volere giustizia per tutte le vittime, indipendentemente dal loro passaporto? Anzi, da europei, ricordandoci che abbiamo anche un passaporto comune.