Opinioni

Editoriale. Gorla e oggi, le stragi insensate con le loro “vittime collaterali”

Lucia Bellaspiga lunedì 14 ottobre 2024

Ripete quel gesto con il dito indice da 80 anni, Graziella Ghisalberti, come se quelle bombe avessero fermato il tempo al 20 ottobre del 1944, quando la sua scuola elementare deflagrò uccidendo 184 suoi compagni. «Quel giorno studiavamo le maiuscole e io avevo appena compilato un’intera pagina di D», racconta. Pochi istanti dopo suonava l’allarme ma i trentacinque bombardieri americani volavano già sopra la scuola “Francesco Crispi” e il quartiere milanese di Gorla. «Grappoli di ordigni annerirono il cielo, cadevano verso di noi», continua Graziella, una dei pochi bambini allora sfuggiti alla “strage di Gorla”, e questa volta ad ascoltarla c’è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, giunto a Milano per omaggiare la memoria dei 614 morti del quartiere estratti i giorni successivi dalle macerie.

È la prima volta che un capo dello Stato si ricorda dei “Piccoli martiri” che oggi danno il nome alla piazza in cui sorgeva la loro scuola. Prima si chiamava piazza Redipuglia: sempre morti, sempre guerre, un destino segnato. «Il presidente ci ha detto che siamo state brave, ma è tanto bravo lui a venire», commentano le cinque sopravvissute presenti alla commemorazione, oggi quasi novantenni: i loro ultimi tre compagni maschi non hanno avuto questa soddisfazione, se li è portati via il tempo nei mesi scorsi, e la memoria ora resta affidata a quel manipolo di donne irriducibili. «Siete state brave, perché avete rammentato i nomi di chi si è salvato e di chi è morto, è il ricordo più bello che si poteva fare», ha detto Mattarella ascoltando la loro testimonianza, ed è vero: li hanno ripetuti per 80 anni, quei nomi, nel pietoso tentativo di risarcire i piccoli compagni uccisi dalla precisione maligna di una bomba che aveva infilato la tromba delle scale proprio mentre scendevano, obbedienti, in fila, per raggiungere il rifugio.
Durarono giorni gli scavi per il recupero dei corpi, precipitati nella voragine che si era aperta sotto la scuola, e proprio lì si è fermato in silenzio a meditare Mattarella, leggendo i 184 nomi dei bambini oggi sepolti tutti insieme nel ventre della “Francesco Crispi”. «È una tragedia insensata – ha mormorato risalendo alla luce del sole – una tragedia indimenticabile per chiunque, non solo per voi, perché il dolore non si dimentica».

Indimenticabile eppure dimenticata, perché i bimbi di Gorla hanno lo stesso sguardo spaventato, le stesse labbra che tremano, dei bimbi che in questi mesi riempiono i nostri smartphone con video che raccontano altre guerre, così lontane ma così identiche. Bambini di Palestina, di Israele, ucraini, di Haiti, e tanti altri bambini ancora più defraudati perché di loro non si parla proprio, vittime dei conflitti che insanguinano il pianeta. La storia insegna, ma noi non impariamo. “Ri-cordare” significa riportare al cuore, mentre “memoria” ha la stessa radice di memento. Non dimenticare gli errori del passato ha una doppia valenza, affettiva e di monito, ma la nostra amnesia le seppellisce entrambe. «L’ho stancata?», chiede Graziella al presidente. Sono ottant’anni che ne aspetta uno e ora lo sommerge di ricordi. Mattarella sorride chino su di lei e la incoraggia a continuare, «il dolore va trasmesso». Quelle 350 bombe sganciate su Gorla sono state “un errore”, ci spiegano oggi i testi storici, citando i documenti militari statunitensi, i bombardieri sbagliarono rotta, il vero obiettivo era la Breda. Ma ormai le bombe andavano pur gettate da qualche parte, troppo pesanti per riportarle a Foggia, meglio sganciarle nel mare Adriatico (così era previsto)... o meglio ancora lì vicino agli obiettivi mancati, periferia di Milano, a chi tocca tocca, è la guerra. Perché questa è la vera bestemmia, pensare che esistano due morali, due giustizie, due leggi. L’omicidio nei conflitti diventa eroismo se si uccidono “nemici”, un danno collaterale se i morti sono alleati, o civili, o bambini, e di “danni collaterali” parlarono infatti i verbali statunitensi il 20 ottobre 1944, come un “errore” sono le migliaia di bambini oggi sventrati dai missili “intelligenti” delle guerre attuali. In realtà l’unico errore, immenso, collettivo, è la guerra in sé, che diamo per scontata, come fosse un destino ineluttabile.

Finita la follia degli adulti, torna la pace, la retorica delle immagini fotografa la stretta di mano sopra i reticolati, l’abbraccio nelle trincee, gli armistizi e i “mai più”, l’ebbrezza della ricostruzione, il peana per i caduti, e pazienza se tutto avrebbero voluto essere tranne che “eroi”. Presente, si legge mille volte sulle gradinate di Redipuglia per i centomila sepolti della Prima guerra mondiale, ma Giuseppe Ungaretti, che pure in quel conflitto era partito volontario, ormai ottantenne in visita al sacrario scosse la testa e disse tre volte “no”, davanti alle autorità imbarazzate, «no, no, no, la morte è più semplice. Li hanno messi in fila anche dopo morti!». In fila come i 184 bambini in grembiulino nero, che a nessun appello rispondono più “presente” ma dormono accuditi dal monito di un Cristo sconfortato: «E vi avevo detto di amarvi come fratelli...».