L'alta inattività italiana e quella bassa degli immigrati. Gli stranieri e le favole. Gli stranieri non rubano lavoro
È il vero tallone d’Achille del nostro Paese, il punto debole, assieme a una produttività calante, che rende stentato qualsiasi cammino di ripresa economica. Nonostante il recente miglioramento, infatti, il nostro tasso di attività rimane ancora al di sotto del 70 per cento, al 67,9% per la precisione, quasi 10 punti in meno della media europea del 77,3%. La quota relativamente bassa di persone che lavorano o che cercano attivamente un’occupazione – in questo caso calcolata da Eurostat escludendo gli studenti sotto i 20 anni e i pensionati oltre i 64 – è coerente con l’alta percentuale di inattivi (35% tra i 15 e i 64 anni pari a quasi 14 milioni di persone) calcolata dall’Istat e con i 2,5 milioni di giovani neet (che non lavorano, non vanno a scuola e non sono in formazione). Su una popolazione italiana di 60 milioni di persone, quelle che hanno un lavoro (retribuito) o che lo cercano avendolo perduto non superano i 25 milioni. Assai meno della metà degli italiani, dunque, partecipa in maniera significativa al mercato del lavoro, alla produzione di beni e servizi, allo sviluppo economico. In verità, però, a queste statistiche sfugge del tutto la rilevazione dell’enorme lavoro non retribuito svolto da chi si dedica gratuitamente e a tempo pieno alla cura di figli, nipoti, parenti malati e dei tanti volontari che producono servizi e beni relazionali, in una misura forse maggiore rispetto a quelle medie degli altri Paesi europei. C’è tuttavia un altro dato che merita una sottolineatura: la percentuale più alta di attivi fra gli stranieri residenti in Italia, il 74,3%, rispetto alla quota relativa ai nostri concittadini. Tendenza che si conferma anche considerando le sole persone extracomunitarie giunte nel nostro Paese, che per il 72,6% sono occupate o cercano attivamente di diventarlo. Si tratta di una particolarità che in Europa condividiamo con altri Paesi dell’area mediterranea come Grecia e Spagna e con i neo-comunitari dell’Est, mentre nel Nord Europa si registano differenze fino a 20 punti ma a favore degli 'indigeni'. È il segno che da noi l’immigrazione economica ha svolto soprattutto un ruolo di supplenza e sostituzione dei lavoratori italiani, in calo sia per motivi demografici sia per il rifiuto di svolgere determinate attività. Con buona pace di chi ancora racconta la favola nera degli stranieri che rubano il lavoro o che sono qui solo per sfruttare i benefici del nostro welfare.