I costi della mancata riforma Onu. Gli squilibri in vetrina
L’apertura dei lavori della 78esima Assemblea generale delle Nazioni Unite – che si è inaugurata a New York in questi giorni – è uno di quegli grandi appuntamenti, di cui quasi tutti parlano male, ma che quasi tutti seguono. E ai cui riti non si sottraggono quasi mai presidenti e capi di governo dei cinque continenti.
È del resto una vetrina mondiale unica da cui parlare e mandare messaggi. Allo stesso tempo è una tribuna solo formale, dato che le regole che vennero date nel lontano 1945, quando furono create le Nazioni Unite, hanno reso sempre squilibrato questo organismo, a tutto vantaggio dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (CdS), i quali – avendo il diritto di veto – possono paralizzare qualsiasi decisione. Inevitabilmente, l’invasione russa dell’Ucraina e il protrarsi di quella sanguinosa e insensata guerra hanno enfatizzato la natura discriminatoria di quelle regole nate per garantire gli interessi delle potenze uscite vincitrici dal secondo conflitto mondiale: avendo il diritto di veto, Mosca ha bloccato qualsiasi condanna della sua guerra di aggressione.
Da qui la spinta per avviare una riforma della carta dell’Onu, che è stata teatralmente – e anche un poco gigionescamente – invocata dal presidente ucraino Zelensky proprio dal palco dell’Assemblea. Non vi è dubbio che la riforma del CdS (l’organo decisivo per il funzionamento dell’Onu) sia ormai ineludibile, per renderlo più rispondente al mondo molto più multipolare e meno eurocentrico di oggi. Il problema è quale riforma sia auspicabile e quale realisticamente possibile. L’unica riforma che ridarebbe una vera credibilità al CdS sarebbe quella di togliere il diritto di veto a Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, che impedisce di fatto il funzionamento di questo organo ogni qual volta si tocchino gli interessi e le sensibilità di una di quelle potenze.
Ma ovviamente, ogni proposta in tal senso è destinata a rimanere un semplice esercizio teorico. Nessuno dei cinque rinuncerebbe a questo immenso potere. Rimangono quindi sul tavolo solo riforme parziali, che ovviamente riflettono anche gli interessi di chi le propone. La più pubblicizzata vorrebbe ampliare il CdS aprendo a nuovi membri permanenti (ma senza diritto di veto), chiamando a sedersi al tavolo Germania, Giappone, India, Brasile e un Paese africano.
Un modo per imbarcare le nuove “grandi medie potenze”, dando loro più potere e visibilità. La proposta alternativa, detta “Uniting for Consensus”, punta al contrario ad allargare a 26 i membri del CdS, ma senza aumentare quelli permanenti. Un modo per evitare di formalizzare in un club “quelli che contano” marginalizzando di fatto gli altri Paesi. L’Italia appoggia questa seconda proposta. Un po’ per la nostra nota propensione al multilateralismo; ma un po’ – e forse soprattutto – perché fare entrare la Germania con Francia e Gran Bretagna fra i membri permanenti, significherebbe ratificare l’umiliazione di essere un Paese di serie B nel Vecchio Continente. Che poi oggettivamente noi si conti decisamente meno di quelle tre nazioni a livello internazionale è cosa risaputa, ma che sarebbe molto imbarazzante vedere formalizzata a livello diplomatico.
Finora gli opposti interessi e la minaccia di veti hanno sempre bloccato ogni progetto di riforma, con la conseguenza, che non va sottostimata, di vedere erosa sempre più la credibilità dell’Onu, per di più in un momento in cui le crisi si vanno moltiplicando e cresce il rischio di un’accentuata ripolarizzazione delle dinamiche internazionali. Non vi è dubbio alcuno che la struttura del CdS sia vergognosamente squilibrata nella rappresentazione della pluralità del mondo, né che il diritto di veto (non solo quello russo, anche quello di tutti gli altri Paesi!) produca un’attenzione schizofrenica e insopportabilmente selettiva del sistema internazionale alle guerre e ai massacri. Finisce così che molte crisi vengano risolte al di fuori del contesto delle Nazioni Unite.
Strada davvero pericolosa, perché al di fuori di quel recinto, per quanto imperfetto ci possa sembrare, la legge che vige è quella del più forte. Dove la potenza lascia ai deboli solo la vetrina luccicante di un’Assemblea generale, per apparire senza contare.