L'emergenza. Gli sbarchi? Una piccola parte dell’immigrazione irregolare
Proseguono ad alto ritmo gli sbarchi a Lampedusa, e un’accoglienza cronicamente inadeguata diventa un’emergenza. È quasi inevitabile collegare l’immigrazione con gli sbarchi, specialmente quella non autorizzata: in questi giorni i media fanno a gara in questa corsa alla semplificazione e drammatizzazione di un fenomeno molto più sfaccettato. Per questo è interessante riprendere una notizia curiosa, che ha raccolto un fugace interesse mediatico: quasi tutta la nazionale giovanile di pallamano del Burundi, ospite in Croazia per disputare i campionati mondiali di categoria, dopo aver giocato la pri-ma partita con gli Stati Uniti si è volatilizzata.
Qualche giorno dopo due giocatori, diciassettenni, sono ricomparsi in Belgio, dove hanno chiesto accoglienza. Non è un fatto raro, e nemmeno recente. Sono decine ogni anno gli atleti che approfittano delle competizioni internazionali per uscire dal proprio paese e cercare uno sbocco in un luogo che ritengono più desiderabile, anche a costo di rinunciare a una promettente carriera agonistica. Un tempo gli atleti fuggivano soprattutto dai regimi comunisti (più di 600 dalla Germania Orientale, fino alla caduta del muro), oggi fuggono dal Sud del mondo, alla ricerca di libertà, rispetto dei diritti, condizioni di vita migliori. La storia è istruttiva per un altro motivo. Gran parte dell’opinione pubblica collega l’immigrazione irregolare (stimata in Europa tra i 2,9 e i 3,8 milioni di persone, secondo uno studio del Pew Research Center, ormai datato e controverso) agli sbarchi e ad altre forme d’ingresso “clandestino”: nelle stive delle navi, in camion, percorrendo impervi sentieri di montagna…
Al più, si pensa al ricorso a documenti falsi. In realtà, gli studi sull’argomento, sia in Europa sia in Nord-America, convergono nel sostenere che la maggior parte dei soggiornanti irregolari entrano regolarmente. Persino negli Stati Uniti, dove il lungo confine con il Messico catalizza l’attenzione, hanno attraversato regolarmente la frontiera due su tre degli oltre dieci milioni di soggiornanti irregolari. Si tratta, tecnicamente, di overstayers: persone che rimangono oltre la scadenza del permesso che hanno ottenuto. Come appunto gli atleti. Per entrare in Italia gli stranieri possono ricorrere a una ventina di visti (altrove anche di più: nel Regno Unito, un’ottantina).
Molti non ne hanno neppure bisogno: i cittadini dell’Europa dell’Est provenienti da paesi candidati all’ingresso nell’Ue (dall’Albania all’Ucraina) possono accedere per soggiorni turistici di durata inferiore ai tre mesi con il semplice passaporto, senza obbligo di visto. Lo stesso diritto è attribuito ai cittadini brasiliani, argentini e di altri paesi dell’America Latina. È quasi ovvio che, potendo entrare ma non lavorare, alcuni s’inseriscono nell’economia sommersa e decidono di rimanere. Nella sanatoria del 2020, quindi prima dell’invasione, il gruppo più numeroso di richieste ha riguardato i cittadini ucraini, circa 18.000. Dopo il turismo, in diversi paesi (per esempio, il Regno Unito) il maggior canale d’ingresso dei soggiornanti irregolari è lo studio. Si noti la contraddizione: interessi interni, rappresentati dall’attrazione di turisti e di studenti, entrano in contrasto con la pretesa volontà di reprimere l’immigrazione irregolare.
Ancora una volta, si focalizza l’attenzione sul fenomeno molto visibile e drammatico degli sbarchi, non vedendo o facendo finta di non vedere altre importanti componenti del fenomeno variegato e composito delle migrazioni internazionali, autorizzate o no. Per godere dei benefici dei flussi in ingresso, è inevitabile dover fare i conti con una certa quota d’immigrazione irregolare. La sfida è quella di trovare i modi per ricondurla entro i binari della legalità. Regolarizzazioni caso per caso, per chi trova lavoro e non ha problemi con il sistema giudiziario, sono la soluzione più semplice, già da tempo adottata in Francia e soprattutto in Spagna. Le sponsorizzazioni potrebbero ugualmente servire, coinvolgendo i parenti e magari costruendo delle alleanze con istituzioni italiane. In tempi di fabbisogno di manodopera, varrebbe la pena di provarci, senza lasciarsi dominare dalla paura degli sbarchi.