3 ottobre. Gli oggetti dei morti di Lampedusa per guarire la memoria intermittente
Nella topografia della memoria i luoghi contano, e raccontano le storie delle persone che li hanno attraversati o che vi sono morte, da Hiroshima a Ground Zero, o alle Fosse Ardeatine.
Il Mediterraneo è divenuto uno di questi, percorso di speranza e insieme cimitero per tanti. Si stima che quasi 30.000 persone abbiano trovato la morte negli ultimi dieci anni. Forse la metà sono rimaste senza nome. Tra loro vi sono molti dei ragazzi, ragazze, uomini e donne e bambini che il 3 ottobre del 2013 sono naufragati al largo di Lampedusa.
La loro tragedia è stata una delle prime, non la più grande e non certo l’ultima dei grandi naufragi in mare sulle nostre coste. 368 vittime accertate, molti dispersi, 155 i salvati. Quell’evento colpì l’opinione pubblica e fu l’inizio di un risveglio di coscienza che non si deve assopire, mentre siamo abituati a bollettini di sbarchi, contabilità preoccupata, politiche difensive, di corto respiro, non ispirate al rispetto dei diritti umani e al senso di umanità. Papa Francesco andò a Lampedusa e chiese perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle. Nel 2016 il Parlamento ha approvato l’istituzione della Giornata nazionale del 3 ottobre in memoria delle vittime dell'immigrazione.
Installazione alla Darsena di Milano per ricordare l'anniversario della strage di Lampedusa - ANSA
Tra i tanti modi di dimenticare c’è il tacere, il cancellare e – peggio ancora – il negare. C’è anche una memoria intermittente, molto frequente. Ci si indigna o ci si muove a compassione ma rapidamente – troppo rapidamente – si pensa ad altro. Ma oggi, a dieci anni di distanza, ci si può fermare e chinare su volti e storie. Al Memoriale della Shoah di Milano è ospitata una raccolta di oggetti, curata dall’Associazione Carta di Roma, che appartenevano alle vittime del naufragio del 3 ottobre. Sono piccole cose che conservano una memoria struggente. Le foto e i documenti dei volti giovani, le croci copte, le tessere, i piccoli effetti personali, la macchinina giocattolo, un vestitino della festa di una bimba di circa 3 anni, che ci ricorda la speranza di chi si imbarca. Molti ricorderanno la pagella scolastica cucita nella giacca di un adolescente di circa 14 anni proveniente dal Mali, annegato nel naufragio del 18 aprile 2015.
Il presidente Mattarella ha detto recentemente che conserva quel disegno nel suo studio. Insieme ad altri oggetti è stato recuperato dalla caparbia volontà di Cristina Cattaneo, anatomopatologa dell’Università Statale di Milano, di ridare un nome a tante vittime sconosciute. Qualcuno – una madre? un marito? un figlio? – in questo momento li sta ancora aspettando. Resta quindi il dovere di togliere dall’oblio bambini, donne e uomini che vi sono annegati, almeno ricordando i loro nomi, e conservando i pochi oggetti che ci sono pervenuti. necessario e urgente un database europeo delle vittime, e l’azione concreta del Commissario per le persone scomparse presso il Ministero dell’Interno per identificarle.
Di fronte a questo intento nasce spesso l’obiezione: salviamo piuttosto i vivi. Ma non dimenticare i morti serve anche a questo, quando addirittura i soccorsi vengono ostacolati. Ce lo insegna il progetto del Memoriale della Shoah di Milano, che custodisce il ricordo di coloro che sono partiti “per ignota destinazione” dalla Stazione Centrale tra il 1943 e il 1945 e che oggi ospita con cura e rispetto anche questi oggetti. Dalla deportazione pochissimi sono tornati. I nomi di alcuni di loro, però, sono scritti al suo interno, le storie rievocate con partecipazione e affetto, perché le loro vicende non si perdano.
La loro memoria aiuta a salvare oggi, a non restare indifferenti come debito anche verso Liliana Segre e gli altri testimoni. Per questo, dal 2014 al 2017 al Memoriale sono stati ospitati per qualche notte in totale 7.500 profughi, grazie all’alleanza con Sant’Egidio e tanti milanesi solidali. La tragedia dei naufraghi migranti del Mediterraneo è completamente diversa dalla vicenda della Shoah; la storia non si ripete, attenzione a impropri confronti. Ma il ricordo della Shoah, nella sua indicibile particolarità, illumina anche i loro percorsi, ammonendoci – oltre che sul dovere di impedire altre morti – di salvaguardare l’identità e la dignità di tutte le vittime, e con loro anche della nostra.
Vice presidente Memoriale della Shoah - Milano