Opinioni

Lettere ad Avvenire. Gli auguri a Benedetto XVI. E un'antica omelia sul Sabato santo

Le nostre voci di Marina Corradi venerdì 14 aprile 2017

Caro Avvenire,

l’amatissimo papa emerito Benedetto XVI celebra a Pasqua il suo novantesimo compleanno da quando, per il disegno di Dio, è venuto a nascere in questo mondo. Desidero condividere anch’io con lui questo momento di festa per dirgli che in tanti gli siamo vicini non solo con l’affetto, ma anche e soprattutto con quella preghiera che, un giorno, ci ha chiesto di fare per lui come ringraziamento: per la vita avuta in dono; per la rinascita battesimale avvenuta nella Pasqua; per il sacerdozio ricevuto. Ho imparato tante cose da Benedetto XVI e ritengo che, seguendo la sua lezione, i rapporti all’interno della Chiesa diventerebbero più “belli”. Mostrerebbero una Chiesa come un’agorà vera e propria, in cui nessuno si ergerebbe a maestro dell’altro, ma diventerebbe «un umile servitore nella vigna del Signore», preoccupato non di tenere gelosamente la scienza per sé, ma di insegnarla a quei “piccoli” ancora così numerosi, che attendono maestri. Caro papa Benedetto, scusaci per tutte le volte che non abbiamo corrisposto al tuo mite insegnamento. Io sono un presbitero che con te ha pregato in ginocchio sul ciottolato di piazza San Pietro, nella sera della Giornata sacerdotale indetta da te. Grazie infinite a Dio, che ti ha donato a noi.

Don Angelo Pavan Oderzo ( Treviso)

Caro don Angelo, sono in tanti a ricordare e amare Benedetto XVI, e a volere fargli gli auguri per questo suo novantesimo compleanno che cade nel giorno di Pasqua. Per questo – il direttore mi consente di anticiparlo, ma non è un segreto il nostro affetto per il Papa emerito – domenica “Avvenire” gli dedicherà articoli davvero speciali. Anch’io conservo cara la memoria dei suoi limpidi discorsi, del loro nucleo denso di fede. Vorrei, all’antivigilia di questo compleanno, ricordare Benedetto come lo vidi in un giorno per me indimenticabile, a Torino, il 2 maggio 2010, davanti alla Sindone. «Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è un grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme... Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi». Le parole di un’antica omelia pasquale, pronunciate da Benedetto nel Duomo di Torino, introducevano a una meditazione sul mistero del Sabato santo. Nella cattedrale affollata di sacerdoti e suore di clausura il Papa rimase per cinque lunghi minuti inginocchiato davanti alla Sindone, in un perfetto silenzio. I giornalisti avevano avuto accesso a una navata laterale. Vedevo Benedetto a venti metri da me, e davanti a lui l’urna col sacro telo. Quei cinque minuti sono uno dei più bei ricordi del mio lavoro di giornalista. Pareva di assistere a un faccia a faccia: Cristo, nell’orma di sangue del suo martirio, e il vecchio Papa. Parlò, Benedetto, di quel tempo breve, un giorno e mezzo, e insieme «immenso, infinito», del Sabato santo: in cui Cristo condivise non solo il nostro morire, ma anche il nostro rimanere nella morte. Quel giorno, disse Ratzinger, «nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. È successo l’impensabile: l’Amore è penetrato negli inferi». Quanto fu bella la sua voce mite che nelle volte ombrose del Duomo di Torino annunciava questa eterna novità, questo felice scandalo: Cristo, rimanendo nella morte, «ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi a oltrepassarla con Lui». Non c’è dunque più oscurità che non possa essere salvata, che non possa essere infranta, allungando una mano ad afferrare quella di Cristo. Ascoltavo e anch’io, che come tutti ho la mia personale parte di buio dentro, mi sentivo abbracciata dalla certezza pacata eppure petrosa di quell’uomo. Il Sabato santo come una terra di nessuno, disse quel giorno Benedetto, tra la morte e la Resurrezione: ma in questa terra è entrato Uno, che la ha attraversata con la sua Passione. Mi pare bello che il Papa emerito compia novant’anni proprio nella domenica di Pasqua, appena oltre la «terra di nessuno», come in un segno. Come coronando la vita di un uomo interamente spesa a cercare Cristo. Auguri Santità, che siano lieti questi suoi novant’anni.