Il direttore risponde. Giustizia e scuola, sasso nello stagno
Valter Boero, Università di Torino
Non le nascondo, gentile professore, di aver pensato in un primo momento che la sua lettera fosse un divertissement o, meglio, una mera provocazione intellettuale. E questo pur sapendo del suo costante e concreto impegno civile. Ma leggendo il testo che ci ha inviato (e che ho dovuto abbreviare un po’...) mi sono presto reso conto che invece il suo discorso era assolutamente serio, il che – ovvio – non esclude affatto che lei abbia soprattutto voluto gettare un sasso nello stagno dello "status quo" di servizi pubblici decisivi per valutare il reale grado di civiltà di un Paese. Giustizia e pubblica istruzione sono, infatti, servizi che dovrebbero essere sinonimo di efficienza e di qualità. E che in Italia regalano confortanti esempi positivi e importanti figure di riferimento eppure, troppe volte, risultano schiacciati sulla loro immagine peggiore o colpiti da virus di discutibili e rischiose «creatività» o confinati nello scomodo recinto dei più deludenti risultati "di sistema" (si pensi solo ai tempi insopportabili di buona parte dei processi o a certi sconfortanti rapporti periodici sulla preparazione degli studenti).Detto questo, se lei pensasse davvero a "riciclare" i professori in esubero in qualità di pubblici ministeri e di giudici, francamente la vedrei dura, anzi durissima: non ci si improvvisa magistrati, e una laurea – anche in materie giuridiche – non è certo un requisito sufficiente… Se, invece, come credo, immagina un utilizzo di intelligenze, competenze ed esperienze maturate nella scuola in robusta funzione ausiliaria di quelle giudiziarie di sorveglianza e inquirenti o giudicanti, allora la sua idea-sasso nello stagno può costituire un ben azzeccato stimolo a riflessioni non banali e a decisioni utili.Comunque sia, caro professor Boero, la cosa che trovo più interessante e convincente nel suo approccio è la sottolineatura, indiretta, di uno dei grandi difetti dell’apparato pubblico italiano: la cattiva – a volte davvero pessima – distribuzione delle risorse umane e la conseguente inefficienza strutturale e mortificazione di professionalità (e sensibilità) che da questo inesorabilmente deriva. È uno dei problemi che non possiamo più permetterci di ignorare: proprio perché le amministrazioni pubbliche non devono essere solo dei «postifici», ma vanno considerate e gestite come essenziali ed efficaci strutture di servizio.