La proposta Cartabia . Riforma della giustizia: tempo scaduto
Caro direttore,
«E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Suona per te». I versi che hanno dato il titolo a uno dei più celebri romanzi di Ernest Hemingway si adatta perfettamente ai tempi che stiamo vivendo. La campana per la riforma della giustizia in Italia è suonata da troppo tempo e ora siamo all’ultimo rintocco per poter procedere con speditezza. È tempo di mettersi alle spalle decenni di confronto acceso, ideologico e spesso basato su preconcetti. Con asciutta crudezza la ministra Marta Cartabia ha richiamato le forze politiche che sostengono la maggioranza alla realtà dei fatti. Le attese, e da più parti auspicate, riforme non possono più essere rimandate. Non è più tempo di rinvii pena la restituzione all’Europa non solo dei 2,7 miliardi di euro che il Pnrr prevede per la Giustizia, ma di tutti i 191 miliardi destinati alla rinascita economica e sociale italiana. Come sappiamo sul documento trasmesso alla Commissione Europea – dopo un estenuante negoziato – ha offerto la propria garanzia personale il presidente Draghi. Senza quella parola chiara e definitiva, forse, non avremmo avuto il disco verde di Bruxelles, dobbiamo esserne consapevoli. Entrando nel merito degli interventi indispensabili e urgenti una delle priorità non possono che essere quelli finalizzati alla «ragionevole durata del processo».
Così prevede l’articolo 111 della Costituzione riformulato nel 2001. Vent’anni dopo questa modifica siamo ancora al punto di partenza. Commissioni e proposte parlamentari si sono rincorse nel tempo; a passi avanti sono seguiti passi indietro. A speranze sono seguite delusioni. La Commissione ministeriale presieduta dal presidente emerito della Consulta Giorgio Lattanzi ha svolto il suo compito nei tempi che le sono stati dati.
L’incaglio, una volta di più, è sulla riforma del processo penale e nello specifico della prescrizione. Certo non risolve il problema, ma anzi lo aggrava, la legge Bonafede che prevede il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Certo, bisogna fare di tutto per evitare le prescrizioni dei processi, ma questo obiettivo si può, e si deve, raggiungere accelerando i tempi processuali con la digitalizzazione, con l’aumento dell’organico dei magistrati e degli operatori della giustizia, con una migliore organizzazione dei Tribunali. Per questo è condivisibile una più precisa e definita prescrizione processuale che rispetti i tempi di un processo giusto e in tempi ragionevoli non dimenticando che questo incide positivamente anche sulla richiesta di giustizia e sul risarcimento danni delle vittime dei reati.
E ha ragione Cartabia a ricordare come giudizi lunghi diventano anticipo di pena; il «pregiudizio di colpevolezza sociale» così indicato dalla ex presidente della Consulta è una situazione che non può più essere accettata. Come anche la gogna mediatica stigmatizzata dall’attuale presidente della Corte Costituzionale Giancarlo Coraggio; c’è da augurarsi che con il recepimento della direttiva europea sulla presunzione d’innocenza si possa lasciare alle spalle una triste stagione. Al momento la gravità della situazione non pare essere stata colta da tutte le forze politiche. Da parte di alcuni deputati e esponenti di partito si sentono le solite dichiarazioni che suonano più come veti che volontà di raggiungere un giusto e alto compromesso tra le diverse istanze. Rendere i processi civili e penali più celeri, più efficienti, ma non a scapito delle garanzie, sono obiettivi che riguardano non solo tutti i cittadini, ma anche chi, dall’estero, intende investire in Italia.
Sappiamo bene quanto spesso operatori internazionali, che intendevano operare e investire nel nostro Paese, vi abbiano rinunciato proprio a causa delle incertezze e delle lungaggini della nostra giustizia. Abbiamo, come Paese, sette mesi per approvare le 'leggi delega' per la riforma del processo civile, penale e del Csm. I tempi sono chiari come lo sono gli obiettivi da raggiungere. Ben venga questa scadenza che impone a tutti tempi certi e assunzioni di responsabilità. Non possiamo mancare l’obiettivo perché ne andrebbe della credibilità dell’Italia nel contesto europeo e sarebbe un disastro economico e sociale che non possiamo assolutamente permetterci. Bene ha fatto la ministra Cartabia a parlare chiaro ai membri delle Commissioni Giustizia delle Camere; la sua autorevolezza la rende figura chiave perché siano appianate le difficoltà che ogni giorno si presentano e che rendono accidentato il percorso. Il quadro complessivo delle proposte maturate offre uno scenario che può seriamente riportare l’Italia nell’alveo delle Nazioni più competitive e civili. È il tempo della responsabilità e dell’agire per il bene comune. Si mettano da parte logiche corporative e strumentali e si facciano quei passi in avanti indispensabili per la credibilità e per il futuro della nostra Giustizia e del nostro Paese.
Avvocato, parlamentare europeo