Opinioni

Papa Francesco al mondo carcerario. Giustizia e speranza, la vera via del carcere

Antonio Maria Mira sabato 14 settembre 2019

C'è una parola per molti lontanissima dalla parola carcere. Ed è la parola speranza. Eppure papa Francesco la pronuncia, la spiega, la indica con convinzione e forza. Assieme ad altre parole non meno apparentemente lontane, come dignità, compassione, perdono, recupero, ascolto, coraggio, pace, fiducia, futuro, riconciliazione, reinserimento... Lo fa incontrando il mondo carcerario, chi "custodisce" («vi ringrazio di non essere solo vigilanti, ma soprattutto custodi di persone», dice agli agenti penitenziari), chi ascolta e si sporca le mani come i cappellani, e chi vive in cella («siete nel cuore di Dio, siete preziosi ai suoi occhi»). Ancora una volta dimostra grande attenzione per questo mondo ai margini.

Un’attenzione concreta. Potremmo dire, con termini giornalistici, che il Papa "sta sul pezzo". Così, ha parole molto chiare nel denunciare il «problema grave» del sovraffollamento delle carceri e nel chiedere «condizioni di vita decorose», altrimenti, avverte senza tanti giri di parole, «diventano polveriere di rabbia, anziché luoghi di recupero». Parole che si basano sui fatti. Dopo anni di calo, i detenuti in carcere sono tornati a crescere, e molto. Erano quasi 68mila nel 2011, sono scesi fino a poco più di 52mila nel 2016 per poi aumentare rapidamente fino ai 60.741 del 31 agosto scorso. Mentre la capienza è rimasta sostanzialmente la stessa, cioè circa 50mila posti. Dunque 10mila detenuti in più, il sovraffollamento denunciato da Francesco che, dice, «accresce in tutti un senso di debolezza se non di sfinimento». Anche perché nel frattempo, come ha recentemente denunciato "Avvenire", per la prima volta cala il lavoro in carcere. È l’esaurirsi degli effetti di provvedimenti che, con alternative al carcere, avevano abbassato l’affollamento e allentato le tensioni.

Ora tornano a crescere l’affollamento e con esso la rabbia, come sottolinea il Papa, e la disperazione. Lo confermano l’incremento dei suicidi in carcere e gli episodi di protesta violenta, piccoli ma ripetuti, più volte denunciati dai sindacati degli agenti che così non sono certo aiutati e spinti, come invita papa Bergoglio, «a essere ponti tra carcere e società civile». L’attuazione della riforma carceraria, con le pene alternative e il rilancio del lavoro, elaborata dal governo Gentiloni e dall’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando, è stata bloccata dal governo giallo-verde. Poco apprezzata da un esecutivo che ha dimostrato di preferire il "tintinnar di manette" e frasi a effetto come "va sbattuto in cella, gettando via la chiave": costruire nuovi penitenziari e non renderli più umani, prevedere nuovi reati e aumentare le pene e non creare alternative per migliorare recupero e reinserimento evitando le recidive. Non farebbe mai male ricordare a certi nostri politici, soprattutto a chi ha avuto importanti incarichi di governo, che la nostra bella Costituzione, voluta da partiti anche lontani tra loro, all’articolo 27 prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Proprio le parole di papa Francesco, che da parte sua cita alcuni passi del Vangelo per sottolineare il «diritto alla speranza, diritto di ricominciare». Per questo, il Pontefice afferma con forza che «l’ergastolo non è la soluzione dei problemi, ma un problema di risolvere». Non è la durezza della giustizia a garantire sicurezza, ma la certezza della giustizia. Tempi adeguati, corretto rapporto accusa-difesa, maggiore attenzione alle vittime. E poi recupero e reinserimento. Non "fine pena mai". Soprattutto quando è "fine pene mai".

Giustizia, non vendetta. È quello che dicono persino i familiari delle vittime delle mafie. Anche faccia a faccia coi detenuti. Anche pregando assieme – chi scrive ne è stato testimone – nella Via Crucis al carcere di Poggioreale, proprio là dove il sovraffollamento è del 140%. «Lo faccio perché sono cristiano. Questo è il nostro posto, come cristiani e come familiari», disse allora Bruno Vallefuoco, papà di Alberto, ucciso ad appena 24 anni da un commando camorrista, assieme agli amici Salvatore e Rosario, scambiati per appartenenti a un clan rivale. Per poi rivolgersi ai detenuti. «C’è sempre una vita nuova. Per tutti. Anche per voi». Proprio così. «C’è sempre un futuro di speranza», dice papa Francesco. Parole non solo da ascoltare ma da concretizzare. Facendo riprendere il cammino alla riforma carceraria, promuovendo nuovo lavoro per i detenuti, sostenendo l’impegno difficile e prezioso degli agenti, rilanciando le pene alternative e il ruolo degli affidamenti esterni, investendo soprattutto sui minori per evitare che il carcere sia una scuola negativa. Un progetto che unisca sicurezza e umanità, giustizia e speranza.