Opinioni

Storie di resistenza antimafia e parole vane. Giusta attenzione alla battaglia giusta

Antonio Maria Mira mercoledì 30 marzo 2016
Casal di Principe, Afragola, Messina, Nicolosi, Polistena, Rizziconi. Per sette giorni ho viaggiato in un’Italia che resiste alle mafie. Un’Italia che c’è, eccome. Bisogna dirlo con forza e convinzione, bisogna continuare a raccontarlo. Perché se c’è una parte del Paese che accetta compromessi con le cosche e, addirittura, è collusa, complice, alleata delle mafie, ce n’é un altra che dice no, e lo fa a voce alta, denunciando, proponendo, realizzando iniziative di crescita civile e come tale strutturalmente alternativa a ogni potere mafioso. Un Paese fatto di sindaci, parroci, volontari, uomini delle forze dell’ordine. I rappresentanti di questa Italia a Messina sono sfilati in 50mila in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno promossa da Libera e da Avviso pubblico.  Sono i 350mila che si sono riuniti in tanti altri luoghi d’Italia. Sono le centinaia di familiari delle vittime di mafia che trasformano il dolore in impegno e concreta testimonianza. È l’ex sindaco di Rizziconi, Nino Bartuccio, che con voce ferma accusa la cosca di ’ndrangheta del suo paese. E sono i giovani volontari e gli altri sindaci che lo sostengono in questo giorno difficile. È la professionale e motivata fantasia nella gestione dei rifiuti di Salvatore Iavarone, assessore all’ambiente di Afragola, 'terra dei fuochi' e terra di camorra. Sono le centinaia di veri casalesi che col loro vescovo Angelo Spinillo e i loro parroci, ricordano don Peppe Diana, martire di camorra, con gesti concreti, facendo di ogni anniversario un’occasione di riscatto. È la naturalezza con la quale Antonino Borzì, sindaco di Nicolosi, grosso centro etneo, racconta dell’intitolazione dell’aula consiliare e della sala per i giovani, ai giudici Rocco Chinnici e Rosario Livatino, uccisi dalla mafia, e di tante iniziative per far crescere la cultura della legalità. È la scelta coraggiosa, e ancora una volta concreta, dell’amministrazione comunale di Polistena di concedere sconti fiscali a chi denuncia il racket. Sono parroci calabresi come don Pino Demasi, don Ennio Stamile, don Roberto Meduri che fanno del loro impegno coi giovani, gli emarginati, i migranti, la migliore arma contro la ’ndrangheta. Sono i soci della cooperativa Valle del Marro che nel coltivare i terreni strappati alle cosche non solo creano lavoro pulito ma trasformano il sogno di cambiamento in concreti segni. Queste e altre storie ho incontrato in questi giorni. Non sono eroi, per carità, non chiamateli così. Sono persone normali, ma in certi territori la normalità è davvero eroica, e proprio come normalità è la più temuta dalle cosche. Ma è una normalità così giusta che fa fatica a diventare notizia. Sottovalutazione? Distrazione? Disinteresse? Fatto sta che ad ascoltare la testimonianza di Bartuccio c’erano solo chi sta scrivendo questa nota e il bravo collega calabrese Michele Albanese, da quasi due anni sotto scorta. Ed è mortificante che su quasi tutti i giornali una polemica molto politica innescata dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio nei confronti del governo abbia offuscato le belle iniziative per l’anniversario dell’uccisione di don Diana. La normalità non fa notizia, ancor più quando dà buoni risultati. Mentre lo fa sempre quello che non va. Certo la denuncia è necessaria e doverosa, soprattutto quando ben documentata (e alcune volte non lo è), ma deve essere sempre accompagnata e seguita dalle positive storie di cambiamento. Che ci sono sempre, anche nelle terre più tragicamente infestate dalla mafia, persino là dove sembra non dimorare alcuna speranza. Storie da raccontare, da illuminare perché solo così si vincerà la solitudine dei giusti, l’isolamento dei buoni cittadini che sono il miglior regalo alle cosche. In questi ultimi mesi su alcuni giornali sembra andar di moda fare 'pelo e contropelo' a chi si batte in prima linea nella battaglia antimafia. Che non è esente da errori, ma gli errori non sono la regola. E non possono essere ingigantiti e conditi con illazioni e falsità. Perché c’è tanta bella Italia che, senza clamori, contrasta le mafie. Non si fa certo ricca per questo, ma arricchisce la speranza di tutti e contribuisce a costruire il futuro. Merita di essere sostenuta e raccontata. Su queste pagine non smetteremo di farlo.