In morte imposta d'una persona disabile. Giudicate voi dov'è umanità
È crudele uno Stato che autorizza i medici a far morire un paziente privo di coscienza che è loro affidato, perché sarebbe stata questa la sua volontà, o lo Stato che viceversa mette un veto assoluto a una eventualità simile e gli custodisce la vita anche senza il suo certo consenso?
È la domanda speculare che ci coglie di fronte alle opposte interpretazioni di un fatto difficile da digerire per chiunque come la morte di Vincent Lambert per disidratazione e denutrizione procurate in un reparto ospedaliero di cure palliative. Una fine paradossale e raccapricciante per il luogo e il modo in cui è stata ottenuta, un epilogo orribile per via dell’accudimento più elementare – bere, mangiare – negato a una persona incapace di far da sé, una soluzione finale inconcepibile per qualunque coscienza ancora capace di riconoscere in una persona inerme l’umanità che chiede il soccorso di chi non può non vedere e non agire. Eppure, sotto il cielo del nostro mondo "evoluto" fattosi pesante ieri mattina quando da Reims si è diffusa la notizia della resa per sfinimento di Vincent dopo 10 giorni di privazioni forzate, c’è chi sostiene che lo Stato francese abbia semplicemente erogato un "doveroso" servizio sanitario, tant’è vero che a dare la morte sono stati gli stessi medici che hanno giurato di non farlo mai essendo per missione professionale al servizio della vita.
Ma quello Stato ora dice che ci sono eccezioni, che c’è caso e caso, e qualche volta alla morte non solo ci si deve arrendere non ostinandosi ma la si deve ottenere usando alla rovescia le proprie arti. E dunque crudele, secondo questa visione, sarebbe oggi uno Stato che si lascia alle spalle la scelta sinora ovvia – la vita prima di tutto –, architrave del diritto, e si dichiara neutrale dicendo al cittadino più vulnerabile non più "ti tutelo io", ma "fai come credi". Il samaritano è definitivamente congedato, assumendo al suo posto il burocrate che fa compilare il modulo di insindacabili volontà preventive. Secondo questa visione delle relazioni sociali, Lambert non sarebbe la vittima di un’interpretazione ormai fuori controllo dell’autodeterminazione, ma l’avanguardia di una nuova e più evoluta cittadinanza, nella quale lo Stato concede assoluta libertà di scelta a chiunque sulla propria vita, astenendosi da giudizi di valore su cosa sia meglio tra vivere e morire: ognuno faccia da sé.
Se questo fosse vero, allora la legge sarebbe solo chiamata ad attrezzare la via più pratica ed efficace per dare corso a qualsiasi decisione, e i medici diventerebbero esecutori materiali delle più diverse volontà. Ma è chiaro a tutti – o dovrebbe esserlo, perché se ancora lo fosse davvero non saremmo qui a ragionarci – che suona ripugnante la morte di un disabile grave e indifeso per mano di professionisti della medicina su mandato di un familiare (nel caso di Vincent la moglie), contro la tenace volontà di altri familiari (la madre e il padre). E allora indigniamoci e invitiamo altri a farlo perché non ci sorprenda, in un altro amaro mattino come quello di ieri, il senso di una sopraggiunta indifferenza sorda e complice davanti alla morte procurata. È già capitato poche settimane fa all’Olanda, assuefatta da 17 anni di legge sull’eutanasia e quasi incapace di reagire davanti alla morte per suicidio annunciato e non impedito di una ragazza sofferente. Non accetteremo mai – noi che la coscienza la lasciamo sanguinare in una giornata così – che lo Stato possa vestire i panni del dispensatore di morte a richiesta, soluzione finale on demand. E non cesseremo di ricordare a chi ha la responsabilità di scrivere e giudicare le leggi che la vita fragile non si sopprime, mai, che l’uomo va tanto più preso sulle spalle di tutti quanto più grida la sua sofferenza fino a chiedere persino la morte, scambiata per un sollievo.
Chi, oggi, vuole unirsi a questa voce e farla sentire ovunque è deciso il nostro destino di comunità, misurata o meno sulla vita dei più deboli tra noi? L’iniziativa di sei associazioni cattoliche si è levata per fermare l’avanzata del 'diritto di morire' gabellato come forma suprema di libertà, fake news barbara e iniqua. E ieri ancora una rete di sigle cristiane impegnate nella società e di singoli politici ha ricordato che c’è una soglia invalicabile che dobbiamo ancora saper riconoscere. Mettersi al loro fianco, ciascuno secondo le proprie responsabilità, è l’impegno che sentiamo di dovere a Vincent, disabile eutanasizzato in un ospedale ridotto a braccio della morte, e che invece sappiamo fratello nella famiglia umana di cui tutti siamo parte.