Caro Direttore, ho 32 anni, sono purtroppo considerato un ragazzo. Mio padre a 32 anni aveva tre figli e una posizione dovuta al suo lavoro fisso di bancario. Sono fidanzato da 4 anni, con una splendida ragazza, Chiara. Dopo anni di precariato, sfruttamento, prese in giro, promesse fatte e non mantenute e altro, ho deciso di fare il libero professionista. Anche la mia fidanzata è libera professionista: fa la decoratrice. Ringraziando Dio abbiamo due belle famiglie alle spalle. Due famiglie forti nella fede, e forti – se così si può dire – economicamente. Mio padre ha quattro figli oltre a me, tre femmine e un maschio. Ha tre nipotini bellissimi. Ha lavorato in banca tutta la vita e per fortuna ha messo da parte un po’ di soldi, che noi figli stiamo utilizzando per cercare di partire con un’attività indipendente che ormai appare come l’unica scelta per la nostra generazione. Chiara ha due genitori bellissimi: sua madre lavorava alla Posta e suo padre come operaio all’ex- Italsider. Ha un fratello anch’egli operaio. Noi due non abbiamo nulla. Anche i miei fratelli arrancano. E non siamo nemmeno molto felici, forse non abbiamo la fede – che è carità e speranza, ed è provvidenza – che avevano i nostri genitori quando erano giovani. Non so se ci sposeremo mai. Io sono sconfortato. Da questa mia amata Italia. Da come vanno le cose. Sono sconfortato dall’idea di Stato che si è venuta a creare: che non educa più, che non dà più nulla ai suoi cittadini, che fa pagare le tasse e basa tutto sull’idea che il cittadino serve. Serve per far andare avanti la baracca, per finanziare i mille deputati e senatori, i mille segretari sottosegretari... Sono sconfortato dal presidente del Consiglio. Che mi usa e mi riusa e mi inganna, e mi ridicolizza agli occhi dell’Europa. Che ha lavorato decenni per cancellare il libero pensiero con le sue televisioni, con i suoi soldi, i suoi giornali e le sue squadre di calcio. Che butta tutto sul ridicolo con le sue battute i suoi sberleffi. Che permette ai suoi giornali di distruggere quanti la pensano diversamente da lui. Scusa Avvenire. Io dubito anche di te, che invece sei un quotidiano serio che dice la verità. Ma come potete ancora far difendere la libertà, e la cristianità da una banda di gente del genere? Che vince le elezioni perché ha lo stilista di moda che gli dice come deve tagliarsi la barba e che tipo di scarpe attraenti mettersi? Che spartisce la torta con chi prende a bersaglio i poveri, gli immigrati, i vecchi, i deboli... Cristo ha detto che tutte le volte che verrà fatta una cosa buona ad un ultimo sarà come averla fatta a lui.... e voi non alzate penna, per difendere Cristo? Aiutami Avvenire. Io non capisco più nulla... Io mi sono andato a informare sui politici. Io ho «conosciuto» Fanfani che si dimise solo per una intervista fatta dalla moglie ad un noto fascista. Franco Rodano che fu taglieggiato e osteggiato e addirittura scomunicato per un ideale. Ho sentito parlare di Zaccagnini, che una volta finita la settimana a Roma, trovava il tempo per andare in parrocchia, a giocare ai burattini coi bambini... Aiutateci. La vita è dura ma vogliamo che non sia disperata. Aiutateci almeno con un po’ di speranza
Alessandro
Impossibile non essere colpiti dal tono accorato e vibrante del suo appello, caro Alessandro. A partire dal confronto che fa tra la diversità della « gioventù » di suo padre e la sua. Quanto di essa dipende dalle circostanze esterne e quanto dai cambiamenti prodotti negli atteggiamenti e nelle aspettative più intime? Certo, pesano – anche se in misura diversa – entrambi –. A ben vedere, la fase della «sicurezza» del lavoro è appartenuta praticamente a due o tre decenni del secondo dopoguerra, praticamente l’arco di una generazione, con l’esclusione, peraltro dell’intero Meridione. La prima parte del Novecento, tra povertà, emigrazione e guerre mondiali, non lascia rimpianti. Di diverso dal passato c’è che mentre prima l’insicurezza era la normalità entro la quale ricavare le proprie opportunità, ora, scorgendo alle spalle l’ « età felice » del posto sicuro, il presente è come ferito dal rancore della promessa tradita. Un fenomeno ulteriormente acuito dalla consapevolezza che altrove, anche in periodo di crisi, le cose per i giovani vanno meglio che non nel nostro Paese. Non ho ricette risolutive, ma mi pare che una soluzione possa provenire solo da una simultanea presa di coscienza a livello sia collettivo che personale. Stato, scuola, famiglia, realtà educative devono coccolare meno, preparare all’autonomia e responsabilizzare di più. Per poterlo fare efficacemente devono però, come lei sottolinea, essere esse stesse esemplari. In primis lo Stato, chi compone e rappresenta le istituzioni pubbliche. I sacrifici e l’austerità sono più sopportabili se chi sta in alto mostra, col suo stile di vita, di rispettarli come valori e magari anche di alimentarli. Ricordiamo che la democrazia e il suffragio universale sono valori sostanziali, di cui ciascuno è responsabile pro- quota: il risultato complessivo dipende dalla somma degli investimenti rappresentati da ciascuno dei nostri voti. Ma ricordiamoci anche che la nostra democrazia prevede ( ed esige) che i cittadini siano liberi dall’inizio. Amico caro, l’assetto politico che il Paese periodicamente si dà ci può anche non piacere. Addirittura può indignarci, ma guai a recriminare per quella libertà grazie alla quale ciascuno di noi è titolato a operare perché la soluzione opposta prevalga. La saluto.