Opinioni

L'anniversario. Giovanni Paolo I il papa profetico quaranta anni dopo

Vincenzo Bertolone domenica 26 agosto 2018

«Solidarietà: siamo un’unica barca piena di popoli ormai ravvicinati nello spazio e nel costume, ma in un mare molto mosso. Se non vogliamo andare incontro a gravi dissesti, la regola è questa: tutti per uno, uno per tutti; insistere su quello che unisce, lasciar perdere quello che divide». Con gli occhi della fede leggeva il mondo con sguardo profetico, Albino Luciani, il pastore mite che il 26 Agosto 1978 fu eletto Papa. Quarant’anni sono passati da quella designazione per molti aspetti storica: fu un conclave tra i più brevi, seguito in mondovisione. Il primo al quale non parteciparono con diritto di voto i cardinali ultraottantenni.

E quando le porte si aprirono, la mano di Dio s’era già posata sull’uomo che entrando tra le Sacre Mura confidava alla sorella: «Difficile trovare una persona adatta ad andare incontro a tanti problemi, che sono croci pesantissime. Per fortuna io sono fuori pericolo». Invece toccò proprio a lui, prescelto con una vasta convergenza: nel patriarca di Venezia i porporati avevano trovato un padre nutrito di umana sapienza e forti virtù evangeliche, esperto delle ferite dell’uomo e delle esigenze dell’immensa moltitudine degli emarginati. Il suo pontificato durò poco, ma bastò per imprimere una svolta.

Nel primo messaggio in latino, italiano e francese, dopo l’accenno all’eredità del Concilio, dichiarò di voler «conservare intatta la grande disciplina della Chiesa». Così applicò al suo ruolo il ritorno all’essenziale: rifiutò trono, sedia gestatoria e il pluralis maiestatis. Dopo il rito di inaugurazione del suo ministero, scese da solo sulla tomba di san Pietro e vi restò in ginocchio per dieci minuti. Trasformò le udienze del mercoledì in lezioni di catechismo. Troppo, per la grande stampa che per questo prese a dubitare della sua effettiva capacità di guidare la Chiesa. Critiche spesso prevenute, che non lo cambiarono: nella natìa e piccolissima Canale d’Agordo aveva respirato la vitalità culturale ed ecclesiale di una terra che – caso unico al mondo – aveva visto partecipare al Concilio Vaticano II ben tre sacerdoti. Un minuscolo mondo rurale ed operaio, segnato dal sacrificio del lavoro, dall’emigrazione ed alla ricerca costante di riscatto sociale, in cui la religione era tessuto connettivo di integrazione.

Qui il successore di Pietro maturò la sensibilità cristiana, l’apertura culturale, l’intelligenza pastorale e sociale di cui diede saggio anche nel corso del breve servizio petrino, a iniziare dalla scelta di un nome, Giovanni Paolo I, dal chiaro contenuto programmatico. E le sue uniche quattro udienze generali furono caratterizzate da temi particolari: la prima fu dedicata all’umiltà. La seconda alla fede, e in quella occasione Giovanni Paolo I recitò una poesia di Trilussa. La terza alla speranza, col richiamo a san Tommaso d’Aquino. Nella quarta e ultima udienza parlò della carità.

Lo trovarono senza vita, nel suo appartamento privato, la mattina del 29 settembre 1978, dopo 33 giorni di pontificato. Un tempo breve, ma sufficiente a tantissimi per imparare ad apprezzarlo. «Mentre ringraziamo Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo – disse di lui papa Benedetto XVI – facciamo tesoro del suo esempio, impegnandoci a coltivare la sua stessa umiltà, che lo rese capace di parlare a tutti, specialmente ai piccoli e ai cosiddetti lontani».

Arcivescovo di Catanzaro-Squillace