Opinioni

Dall'estate in Ducati agli Its: quanto conta ripartire dalla pratica. Giovani, il motore del lavoro si riacende (anche) con le mani

Giuseppe Bertagna giovedì 14 luglio 2011
Ci sono tre notizie separate, in questi giorni, che vanno lette insieme, per il loro significato unitario. La prima è la Summer school "Fisica in moto" promossa per 25 studenti meritevoli dalla Ducati (ne parliamo a pagina 13, ndr). Un’esperienza estiva per imparare quanto servano la fisica e la matematica, sia nella loro versione pura sia in quella applicata, semplicemente guidando in maniera consapevole e sicura uno scooter o una  motocicletta, oppure manipolandone struttura e motore.La seconda notizia è l’avvio degli Its (Istituti tecnici superiori): corsi a numero chiuso e con prove di ingresso, della durata da due a tre anni, accessibili dopo il diploma di Stato quinquennale per diventare tecnici superiori in sei aree professionali tecnologiche strategiche per il Paese. L’ultima riguarda il rapporto Isfol sugli esiti occupazionali dei qualificati nei corsi triennali di istruzione e formazione professionale delle Regioni. Rapporto che, in sintesi, riporta le seguenti interessanti informazioni: a) l’85% di chi si è iscritto a questi corsi si reiscriverebbe, tanto è rimasto soddisfatto della scelta compiuta (una percentuale, quindi, quasi inversa a quella manifestata da chi conclude i corsi quinquennali di scuola secondaria); b) il 50% degli iscritti ha ricevuto l’offerta di un lavoro stabile e contrattualmente protetto prima ancora di concluderli, una percentuale che sale al 70% per i ragazzi che non frequentano questi corsi presso gli attuali istituti professionali di Stato, bensì presso i cfp regionali; c) i non occupati dopo un anno dalla qualifica sono soltanto il 36% al Nord, ma di questa percentuale oltre il 40% lo è perché sta continuando gli studi nel quarto anno di diploma del sistema regionale di istruzione e formazione professionale; d) l’occupabilità dei qualificati regionali è di gran lunga più soddisfacente di quella dei diplomati quinquennali presso le scuole di Stato ed è addirittura imbarazzante se confrontata con quella dei laureati.Leggiamo adesso le tre notizie per ciò che tacciono. La prima ci conferma che in Italia l’apprendimento condotto a partire dalla pratica e sul lavoro è roba da esperienze estive e di pochi "privilegiati". Durante l’anno si pensa infatti che, per la "truppa normale", l’apprendimento debba e possa avvenire soltanto sui libri, nella scuola organizzata alla maniera tayloristica che conosciamo (prima ora mate, seconda italiano, terza storia, quarta… e così via) e, soprattutto, in una realtà anche fisica, le nostre scuole appunto, dove "si sporca, ma non ci si sporca". Le mani e il lavoro sarebbero, infatti, condizioni "banausiche". Per cui l’essere "studente" escluderebbe per definizione l’essere anche "lavoratore". La seconda notizia ci conferma che quanto tutti gli altri Paesi al mondo hanno da decenni, ovvero un sistema della formazione professionale superiore che non è soltanto universitario, da noi non solo non è ancora nato, ma fa molta fatica a nascere. Un’insensatezza ordinamentale, epistemologica, professionale, economica, sociologica, psicologica, didattica ed educativa.Ma niente da fare. Come diceva Einstein, è più facile rompere un atomo che (questo) pregiudizio. Chissà se la crisi economica mondiale che stiamo vivendo, un vero e proprio break down da tettonica a zolle, riuscirà a modificare i termini della questione. C’è da augurarselo.L’ultima notizia ci fa capire che le geremiadi massmediali e le deprecazioni politiche sulla disoccupazione giovanile e, soprattutto, sui cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training) sono spesso frutto di pigrizia analitica. È vero, da noi i giovani sono molto meno protetti degli occupati e dei pensionati. Tuttavia vorrà pur dire qualcosa che chi «non lavora, non studia e nemmeno cerca un lavoro» in percentuali da brivido sociale sia di solito diplomato o laureato e si collochi nella fascia d’età tra i 20 e i 30 anni.