Indagine. Per i giovani d'Europa il futuro fa paura, ma l'impegno è solo virtuale
Una ricerca della Fondazione Allianz con diecimila interviste. Il 70% non ha mai partecipato a un’azione collettiva Protagonisti eterni della battaglia fra generazioni, sospesi tra un passato sempre ingombrante per le loro spalle e un futuro per natura gravido di incertezze al contempo speranzose e angoscianti, i giovani rappresentano un primattore sociale scandagliato e valutato negli anni da più visuali. Poche ricerche li hanno però passati al setaccio come lo studio europeo messo in campo dalla Fondazione Allianz che ha coinvolto 10mila giovani – e meno: tra i 18 e i 39 anni, a cavallo fra Generazione Y e Z - in 5 Paesi con caratteristiche diverse (Germania, Gran Bretagna, Italia, Grecia e Polonia), sottoponendo loro 312 domande per un totale di 2,6 milioni di risposte. Una raffica di quesiti che indaga quel “nero carpe diem” che ammanta la loro fiducia nel domani. I l ritratto che ne esce tratteggiato parla di giovani attivi, ma dotati in genere di bassi livelli di fiducia (un po’ meno per i tedeschi) in quelle istituzioni consolidate che, ai loro occhi, stanno plasmando società più divisive del passato; di una fetta di società preoccupata per le escalation belliche in corso, ma al tempo stesso non convinta che l’aumento delle difese militari rafforzi la sicurezza, inquieta per il peggioramento dell’equilibrio tra lavoro e vita privata e che ripone la maggior parte delle speranze nella lotta al cambiamento climatico. Per questo i giovani, che credono ancora nello “Stato sociale” europeo, si considerano anche parte della soluzione, anche se poco propensi alle proteste di piazza. Nello specifico, poi, gli italiani sono in genere i meno ottimisti, ma anche i più fiduciosi rispetto alla possibilità di vincere la sfida del riscaldamento planetario.
«I giovani in Europa sono in una sorta di sala d’attesa – è la valutazione che fa Esra Kücuk, Ceo della Fondazione Allianz . Almeno due terzi degli intervistati dicono di aver già cambiato abitudini, a esempio diventando consumatori più sostenibili. Circa la metà è pronta a impegnarsi ancora di più». Secondo Kücuk, questo ha un enorme potenziale. « Ma molti sono esitanti – aggiunge -. È qui che i politici e la società civile sono chiamati a creare percorsi di coinvolgimento ». Capaci di ribaltare quell’80 per cento che arriva a chiedersi apertamente se la loro generazione vorrà avere figli, dato eclatante letto alla luce di quello squilibrio demografico che già penalizza il Vecchio Continente, appunto. E che va contrastato per rafforzare le prospettive di questo universo di circa 68 milioni di persone sotto i 40 anni che vivono in questi 5 Stati, solo una minoranza in una società caratterizzata da un costante invecchiamento, in cui vedranno calare la loro influenza all’interno del sistema democratico. E’ la galassia oggetto dello studio che enigmaticamente s’intitola “ The Movers of Tomorrow?” (I promotori del domani?), svolto in collaborazione con l’istituto Sinus.
Un viaggio ad ampio spettro dentro le tante ansie periodicamente descritte di questo segmento della popolazione che parte, inevitabilmente, da quella guerra che mai prima era stata conosciuta. Il 58% ha il timore che il conflitto possa estendersi al proprio Paese, tuttavia circa la stessa percentuale rifiuta con forza l’idea di tornare al servizio militare obbligatorio. I giovani concordano sul fatto che i loro Paesi diventeranno meno sicuri in futuro e precipiteranno sempre più nell’abisso dei divari fra ricchi e poveri. Il 41% si aspetta che il numero di posti di lavoro ben pagati diminuisca. Vedono spazi ristretti per le loro esistenze, anche perché non ripongono granché fiducia nei leader delle istituzioni: la Germania è, insieme alla Gran Bretagna, l’unico stato in cui hanno molta più fiducia nel proprio governo (48%) che nella Ue (38%) e negli organismi internazionali (32%). Tutte queste ansie si ripercuotono sui loro comportamenti: il 76% degli intervistati vota alle elezioni, il 45% boicotta i prodotti non ecologici e il 60% discute con gli amici delle proprie opinioni politiche. C'è, insomma, una sufficiente consapevolezza, che allontana quell’idea di generale declino della partecipazione, ma che non sempre si traduce concretamente in coraggio di protestare, come accadeva nei decenni passati: oltre il 70 per cento degli intervistati non ha mai partecipato a un’azione collettiva e il 25% desidererebbe un impegno politico attivo, ma si considera obsoleta l’iscrizione a un partito. Prediligono altre forme: a esempio il 68% di coloro che sono preoccupati per il cambiamento climatico dice di aver fatto donazioni o firmato petizioni on-line.
Un dato interessante è che, nonostante le differenze geografiche e di contesto socio-economico, i giovani di questi 5 Paesi sembrano accomunati a livello di aspirazioni. Uno stato sociale solido, prezzi stabili e una forte rete di sicurezza sociale sono considerati cruciali per quasi tre quarti dei giovani (71%), il 52% cerca pari opportunità per le minoranze e i meno privilegiati e il 47% ritiene prioritarie istituzioni democratiche forti. La questione su cui i giovani ripongono maggiori speranze è però la lotta al cambiamento climatico, attraverso il maggior ricorso a energie rinnovabili, che d’altronde è il fattore che più ha mobilitato anche le proteste collettive che si sono svolte negli anni più recenti. Circa due terzi (meno in Germania, però) si sentono “cautamente fiduciosi” che nel prossimo futuro si intervenga con politiche più “verdi”. E, contrariamente a quanto si pensa, solo il 9% “incolpa” le generazioni precedenti, quelle dei baby- boomers, ritenendo che avrebbero dovuto fare di più. Inoltre, il 70 per cento afferma che la società dovrebbe essere più aperta nell’accoglienza delle persone che fuggono da altre zone geografiche o realtà sociali.
Proprio l’aspetto climatico vede i giovani italiani come i più convinti di ottenere risultati, con un dato del 58%. E col 63% che vede le sue conseguenze come una delle sfide più urgenti, più che in altri Paesi. Tuttavia, le abitudini di acquisto cambiano più lentamente: a oggi, solo il 39% ha già boicottato prodotti con un cattivo impatto ambientale. Rispetto alle altre 4 nazioni, il dato che però colpisce è che i giovani italiani sono i meno ottimisti in generale. «Sono disillusi rispetto al proprio futuro, ma allo stesso tempo vogliono migliorarlo – dice Luca Iacoboni, responsabile delle relazioni esterne di Ecco, “pensatoio” indipendente per il clima -. Chi saprà coniugare l’azione climatica con la risposta all’attuale crisi sociale, riuscirà a far superare alle giovani generazioni la disillusione che oggi esprimono». Il minor ottimismo degli italiani riguarda il proprio futuro (50% contro il 62% della media dei 5 Paesi), su quello del proprio Paese (26% contro il 36%) e sul futuro dell’Europa (39% contro il 47%). E 2 intervistati su 3 vedono il loro Paese diviso, un rapporto più alto rispetto agli altri stati. Solo il 33% ha fiducia nel governo nazionale per quanto riguarda le questioni socio-ambientali, mentre la fiducia nella Ue è leggermente più alta, col 41%. E, ancora, i giovani italiani (e greci) sono i più pessimisti analizzando la crescita economica futura e le opportunità di lavoro, con aspettative che tendono per di più a peggiorare. Anche la difesa nazionale è considerata ancora meno importante rispetto agli altri giovani: solo il 17% ritiene infatti prioritario avere una forza militare potente, rispetto alla media europea del 30%. La via dell’impegno civico, insomma, non passa certo per la dimensione bellica, ma segue altri percorsi. Nella consapevolezza, come diceva Bertrand Russell, che «senza moralità civica le comunità periscono» a lungo andare.