Sulla «nuova» ricorrenza del 4 ottobre. Giorno del dono segno di vera libertà
Caro direttore,
l’approvazione del disegno di legge, di cui sono stato cofirmatario, che istituisce il Giorno del Dono ha significato un forte riconoscimento a un imprescindibile paradigma politico che trova le sue fondamenta nella costitutiva relazionalità umana. Il donare è prerogativa del foro interiore, nonché qualità sostanziale nell’agire morale. Per dirla con Ravasi, si dona nella discrezione del nascondimento che spegne sul nascere l’enfasi, l’ostentazione, l’ammirazione altrui: una riservatezza che non umilia. Poteva sembrare pleonastico, proprio perché il donare è inscritto nella natura dell’essere uomo, istituire la ricorrenza del 4 ottobre accostandola alla Festa di san Francesco. Ritengo, viceversa, che il Giorno del Dono non sia destinato a tradursi in una ricorrenza dimenticata tra le tante, frutto di una ridondante iniziativa legislativa. Alla base della sua istituzione ci sono buone ragioni di orientamento etico-sociale e pertanto politico. Al primo articolo della legge istitutiva, infatti, si ricorda che i valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione nel dono trovano un’espressione altamente degna di essere riconosciuta e promossa.
Il donare è atto intrinsecamente personale e oblativo, apertura verso l’altro e il suo concretizzarsi richiede reciprocità e libertà. Reciprocità, non intersoggettività. Nella reciprocità ci si pone nella disposizione di «essere per» un altro, riconoscendo ogni altro (e ogni oltre) nell’uguaglianza. Nell’intersoggettività, invece, ci si colloca nella dimensione dell’«essere con» un altro, secondo un ordinamento contrattualistico regolato dalla mera ottemperanza di regole e norme, pertanto in una posizione antropologica e politicamente fredda. Nell’intersoggettività può risultare problematico il salto di qualità verso l’apertura all’altro.
Nella reciprocità la qualità relazionale è già di per sé, è in sé. Nella reciprocità il donare è paradigma anche politico. Non è un semplice enunciato, non una generica dichiarazione, ma la significativa testimonianza di un’auspicata pedagogia sociale, vissuta effettivamente come resilienza a un diffuso sentire speculativo e utilitaristico, nonché indifferentista verso i valori.
Nella dimensione sociale, ovvero politica, il donare si ordina come un agire virtuoso per la realizzazione di una condivisibile etica comunitaria, solidale e sussidiaria. Si fonda sulla philia, amore di amicizia che presuppone un altro paradigma: la libertà. A quale libertà fare riferimento? Potremmo riferirci, alla scuola di Isaiah Berlin, alla libertà positiva («libertà di» ), intesa come capacità di agire in conformità ai propri desideri e scopi (autonomia e autodeterminazione) e alla libertà negativa («libertà da») come assenza di impedimenti e di costrizione.
Queste libertà non appagano il donare che richiede una libertà ancor più significante sotto il profilo antropologico-valoriale. È la «libertà per» che supera, invece, i confini dell’individualismo per aprirsi agli orizzonti sconfinati dell’accoglienza e della responsabilità dell’altro che sarà «libero grazie».
Nel donare si coniugano gratuità e solidarietà, categorie adeguate per un buon agire politico e per un’auspicata pedagogia sociale