Raccontando il suo arrivo nel luglio 1956 al Campo di Noisy-le-Grand, vicino a Parigi, che raccoglieva numerose famiglie poverissime, padre Joseph Wresinski, fondatore del «Movimento Atd Quarto Mondo», diceva: «Quel giorno mi sono ripromesso che se fossi rimasto avrei fatto in modo che queste famiglie potessero salire le scale dell’Eliseo, del Vaticano, dell’Onu...». Ebbene: il 12 ottobre 2015 una delegazione della sezione italiana del Movimento ha salito le scale del Quirinale ed è stata ricevuta dal presidente della Repubblica in occasione della Giornata mondiale del rifiuto della miseria, che si celebra oggi. Erano persone e famiglie povere da Lombardia, Sicilia e da due quartieri della periferia romana, arrivate per esporre a Mattarella le difficoltà che chi vive nella precarietà affronta giorno dopo giorno. Ieri la delegazione è stata ricevuta dalla presidente della Camera Boldrini a Montecitorio, mentre oggi alle 16 si terrà sul sagrato di San Giovanni in Laterano la commemorazione delle vittime della miseria attorno alla lapide in loro onore posta nell’ottobre 2000, cui seguirà alle 18 la Messa celebrata dal rettore della Lateranense monsignor Enrico Dal Covolo. È un evento cui sono invitate tutte le persone che considerano assurda e inspiegabile la presenza crescente di tanti esseri umani confinati in condizioni di vita prive di ogni dignità. Sul Sagrato delle Libertà e dei Diritti dell’Uomo del Trocadero a Parigi si riunirono il 17 ottobre 1987 i difensori della persona umana rendendo omaggio alle vittime della fame, dell’ignoranza e della violenza, affermando la convinzione che la miseria non sia fatale e manifestando solidarietà con chi lotta per distruggerla. Era la prima volta che si celebrava l’iniziativa, poi proclamata dall’Onu nel dicembre 1992 Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà.Quasi 30 anni dopo quel primo proclama non possiamo dire che ci sia molto di nuovo nei numeri e nelle strategie di lotta alla povertà, mentre certamente qualcosa è peggiorato. Sbarchi di migranti e crisi economica hanno ampliato le cifre del fenomeno, dalle povertà assolute siamo passati alle nuove povertà e poi alle povertà relazionali, per ripiombare negli ultimi anni nella gravissima povertà assoluta di milioni di migranti che mettono a repentaglio la propria vita. Le politiche di welfare sono in crisi per mancanza di risorse e soprattutto per la scarsa qualità di contenuti e strategie d’intervento a fronte del mutare e del diversificarsi delle povertà.Tra le poche vere novità c’è la figura di padre Joseph e della rivoluzione strategica del suo originale approccio al fenomeno della povertà. Egli infatti col suo movimento non voleva fare cose
per i poveri ma
con i poveri: non opere, ma condivisione. La società doveva riconoscere ai poveri i valori, il sapere e la capacità che gli sono propri di individuare gli strumenti per sconfiggere la povertà. Il senso della Giornata di oggi è proprio la "restituzione" ai poveri per rimediare al fatto di non averli mai davvero considerati persone piene di dignità e risorse. Padre Joseph ha introdotto per la prima volta nelle politiche sociali l’idea di "esclusione sociale", termine che indica il processo attraverso il quale la società elimina di fatto i poveri dal proprio ambito. La sua battaglia consisteva nel restituire ai poveri l’appartenenza alla società e il protagonismo per la sua costruzione.Il concetto di esclusione sociale è fondamentale nelle strategie di contrasto della povertà. Questa infatti rappresenta il triste fenomeno che tutti conosciamo, mentre l’esclusione sociale è il processo attraverso il quale si diventa poveri. Don Luigi Di Liegro era solito affermare che «se c’è esclusione non c’è comunità»: ed è questa comunità che padre Joseph voleva ricostruire. Per le politiche sociali si tratta di un concetto cardine, che elimina di fatto ogni possibile idea che la povertà sia fatale e individua in maniera inequivocabile un soggetto responsabile: la società nel suo insieme. Se c’è esclusione c’è qualcuno che esclude. Da qui dunque devono partire le strategie di politica sociale. Ciò ha poco a che vedere con lo stato sociale, confinato nelle istituzioni e spesso autoreferenziale. Le politiche sociali non possono non coinvolgere l’insieme della società, e in primo luogo quella civile. In questa direzione si è mosso in maniera più che positiva tutto il terzo settore. Ma è sufficiente? E i poveri che ruolo hanno? Papa Francesco da tempo chiede l’inclusione di ogni persona per respingere la "cultura dello scarto". In un Programma di attività Caritas per l’anno pastorale 1996-97, che cita lo stesso padre Joseph, leggiamo che «evangelizzare i poveri significa per la Chiesa fare l’apprendistato di quello che Cristo sta facendo in loro e rivelarlo prima agli stessi poveri che in molti casi, per la situazione di miseria in cui versano, non ne sono consapevoli». Padre Joseph parlava dei poveri che si interrogano: «Perché mi trattano così, come uno smidollato, come un cane, come un mascalzone? No, non sono un cane, non sono l’imbecille che hanno fatto di me; io, anche io, so cose che loro non comprenderanno mai. Quest’uomo abbrutito, spossato nel corpo e nello spirito, ha infinitamente ragione. Sa cose che altri rischiano di non comprendere mai, nemmeno di immaginare. Il miglior cercatore del mondo si trova davanti a un mondo di conoscenze che non può nemmeno immaginare, al giardino segreto dei più poveri; nessuno può entrarvi, ma anche e soprattutto non ne ha il diritto, a meno di cambiare condizione di vita per essere in grado di far parlare con fiducia i più sfavoriti e di comprendere quel che dicono».Il protagonismo dei poveri e l’approfondimento del loro sapere, di cui spesso loro stessi sono inconsapevoli, rappresentano a nostro avviso le nuove mete della lotta alla povertà. Sono le politiche sociali che devono aiutare tutti noi a scoprirne gli strumenti. Il Papa nella lettera di indizione del Giubileo della Misericordia ci chiede che «le nostre mani stringano le loro mani»: «Tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro, insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia».