G20 Bali. Giorgia, madre e premier, e la normalità che meritiamo
Di veramente anormale, al vertice di Bali, c’era il fatto che nessun altro Paese tra i 20 Grandi, eccetto l’Italia, fosse rappresentato da una donna. E questo già di per sé giustifica l’enorme curiosità dei mass media di tutto il mondo sul “personaggio” Giorgia Meloni, ancora più che sulla sua proposta politica. L’orgoglio di essersi trovata in Indonesia, appunto, l’unica premier e per di più la prima per l’Italia è del tutto giustificato, e bene fa Giorgia Meloni a sottolinearlo in un post sul suo profilo Facebook in cui peraltro rivendica importanti risultati su diversi fronti, tra cui il negoziato sul grano.
Salvo poi aggiungere una frase che merita una breve riflessione: «Sul tema della parità eravamo un fanalino di coda. Ora siamo all’avanguardia, ed è un elemento che mi rende fiera». Avere una premier (sebbene lei rivendichi per sé l’articolo maschile) è senz’altro una buona notizia e un ottimo esempio per milioni di ragazze e bambine, così come lo è che sia stato finalmente consentito alle deputate neomamme di allattare in Aula. Ma per essere all’avanguardia sul “tema della parità” occorre che siano appianati gli ostacoli, contrastati mentalità e atteggiamenti ormai inattuali, sconfitte le sacche di patriarcato che ancora resistono nel nostro Paese. Non si tratta di benaltrismo, ma di realismo. Un solo esempio en passant: ieri sui social ci siamo imbattute nella denuncia di una giovane donna, altamente qualificata, respinta esplicitamente al colloquio di lavoro perché “sospettata” di voler avere un secondo figlio dopo il primo.
Detto questo, se non è affatto normale che Meloni fosse l’unica donna al G20, lo è invece, senza se e senza ma, che a Bali con lei ci fosse la figlia Ginevra, così come nel 2019 l’allora premier Giuseppe Conte portò con sé il figlio adolescente al G20 di Osaka, o come fece Matteo Renzi con la piccola Ester al G7 del 2016 sempre in Giappone. Una scelta, quindi, quella di Meloni, che avrebbe dovuto passare del tutto inosservata. E invece: paginate sui giornali, intellettuali – ahimè donne – sulle grandi testate nazionali a discettare se sia stato giusto oppure no portare la bambina “al lavoro”, sul fatto che sia un privilegio di cui la quasi totalità delle altre donne non può godere, oppure su quella “naturale” tendenza delle donne a volere esprimere la propria maternità in ogni situazione. Dai giornali ovviamente poi si scende ai social, dove i ben noti commentatori da Bar Sport si sono appassionati come non mai. Una scorpacciata di giudizi non richiesti che ha fatto sbottare l’interessata, la quale sempre su Facebook ha chiuso la questione scrivendo, in sintesi: «Ho diritto di fare la madre come credo, occupatevi di materie più rilevanti». È vero, obietta qualcuno, che è stata lei a qualificarsi pubblicamente come «donna e madre» e dunque è anche in questa duplice dimensione che implicitamente si sottopone allo sguardo degli italiani. Ed è vero anche che ormai la sua sfera privata, in quanto alta carica dello Stato, si è notevolmente ristretta. Nella zona di salvaguardia però dovrebbero rientrare le sue scelte personali e familiari, così come il modo di esercitare il ruolo di madre e di educatrice. Questo dovrebbe essere la normalità: qualcuno, in sala stampa a Bali, ha chiesto forse al premier canadese Justin Trudeau se avesse portato con sé i suoi figli o ha discettato sui giornali se fosse opportuno o meno farlo?
Dei precedenti italiani di Conte e Renzi abbiamo detto, e non ricordiamo una simile spasmodica curiosità. I social hanno una loro narrazione incontrollabile, ma i giornalisti, soprattutto di testate impegnate a promuovere il protagonismo femminile, dovrebbero allora accorgersi che dedicare pagine a Giorgia Meloni premier con bambina al seguito – al netto di una strumentale polemica politica – non è nient’altro che sessismo. Bieco sessismo, come lo sarebbe discettare sull’abbigliamento o sulla pettinatura di Ursula von der Leyen. Lo avrebbero fatto se al posto di Meloni – poniamo caso – ci fosse stato il vicepremier Matteo Salvini con pargoletta? Non lo crediamo. Pensiamo invece che ci sia un giudizio, o meglio un pre-giudizio sulle donne di potere o semplicemente di successo: sono così impegnate, come potranno essere anche brave madri? Lo sperimentò sulla sua pelle pure Samantha Cristoforetti, astronauta di cui andare fieri in tutto il mondo, però sotto sotto biasimata perché “abbandonò” (lasciandoli in realtà al padre) i suoi due bambini durante l’ultima missione spaziale. Ecco, allora questa è la normalità che ci auguriamo per le nostre figlie e che, a modo suo, rivendica giustamente Giorgia Meloni: se lo desiderano e nella misura in cui lo desiderino, realizzarsi nel lavoro secondo libertà, ambizione e talenti, senza i salti a ostacoli che conosciamo oggi, senza temere i giudizi spesso malevoli altrui, e insieme essere una presenza costante per la propria famiglia. Et et, non aut aut. Lo stesso, tra l’altro, che è auspicabile per i padri.